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Immagine del redattoreLa McMusa

C’era una volta una donna di 38 anni né sposata né infelice

Qualche tempo fa ho letto un breve memoir di un professore americano in cui c’era scritto più o meno questo: è incredibile come noi continuiamo a fare la nostra vita normale, ad andare dietro al gregge dei nostri appuntamenti e dei nostri affanni, perfettamente inconsapevoli dei miracoli che ci accadono intorno. Miracoli creativi, intendeva lui. Miracoli che cambiano le sorti della letteratura. Miracoli che hanno a che fare con David Foster Wallace che stringe il manoscritto di Infinite Jest su un aereo da Bloomington a Chicago e nessuno su quell’aereo ha idea della portata detonante che avrà quel testo sul mondo di lì a breve; miracoli che siedono all’ombra di una quercia nelle piantagioni della Louisiana e obbligano nuove voci a destarsi da stanze rimaste chiuse troppo a lungo.

Stanze che non sono ancora quelle decadute di Truman Capote o quelle gotiche e tragiche di William Faulkner; stanze più vicine per tempo e temperamento a quelle ribelli e fiammeggianti di Django o per contrasto a quelle ariose e romantiche di Rossella O’Hara. Stanze in cui entrano ed escono solo donne, stanze che rumoreggiano così tanta femminilità che le loro porte devono rimanere chiuse, appunto, e devono rimanerlo a lungo.

Nel 1899 la Louisiana ospitò in una di quelle stanze una storia rivoluzionaria: si intitolava Il risveglio ed era l’affermazione – una delle prime e più spontanee – dell’indipendenza femminile. Non tanto indipendenza di genere o sociale o politica. Piuttosto, indipendenza di gusti, intenti, intenzioni, progetti di vita, piccole cose, grandi sogni; indipendenza come diversità e molteplicità dell’anima di una donna; indipendenza da un destino già scritto; indipendenza di fare come si vuole. Perché se a una donna piace suonare o leggere o scrivere o non sposarsi o amare l’uomo di un’altra donna, è assolutamente libera di farlo. Anche se poi della sua libertà si farà silenzio per i decenni a venire.

paraventi

Ho scoperto Kate Chopin solo in occasione del viaggio dei Book Riders in Louisiana: quando l’ho letta ad alta voce sotto una quercia che molto tempo prima era stata anche sopra di lei mi sono sentita come se per tutta la mia vita avessi convissuto con una porta interiore chiusa. Una porta inconsapevole. Incredibile, penserete voi, per una che si è sempre orientata verso letture più maschie e maschili (quasi vantandosene, anche!). Incredibile, sì, quanti miracoli accadono intorno a noi e anche dentro di noi senza che ce ne rendiamo conto.


Nel piccolo libro Un paio di calze di seta, ad esempio, di miracoli ce ne sono 13: ognuno ha al centro una o più donne che vivono in un ambiente formale pur senza rispettarne e rispecchiarne del tutto la forma. Spesso si fa cenno alla loro età e al fatto che non sono sposate, al loro aspetto fisico e alla loro bravura al pianoforte, all’attaccamento alla tradizione e al mistero che da essa le tiene in qualche modo lontane. Le pagine di questi 13 racconti miracolosi ricordano i classici perché dei classici conservano gli ambienti (case aristocratiche, passatempi legati alla natura, rituali più severi poi caduti in disuso, ricevimenti, morti per consunzione, timidezze sessuali), lo stile e la sapiente leggerezza; ma raccontano un South americano che agli occhi di noi europei risulta inedito e ambiguo: da un lato la familiarità con la cultura francese, dall’altro la novità di una Louisiana fatta di paludi, bayou, campagne acadiane, comunità cajun e creole. In una parola, una Louisiana provinciale che nessuno ci aveva raccontato prima.

Non c’era animale che corresse così velocemente attraverso la prateria acadiana come il piccolo bronzino creolo. In realtà non galoppava né trottava. Sembrava allungarsi a balzi galoppando. La vettura cigolava, rimbalzava, sobbalzava e oscillava. Zaïda stringeva convulsamente lo scialle mentre Telèsphore tirò più giù il cappello sopra l’occhio destro e si offrì di guidare. Ma non conosceva la strada e lei non glielo permise. Presto raggiunsero i boschi. Se ci fu mai in Acadia un altro animale che avanzasse tanto lentamente nella strada del bosco quanto il piccolo bronzino creolo, quest’animale non è mai stato scoperto. La bestia sembrava spaventata dalle tenebre della foresta e completamente demoralizzata. Con il muso abbassato cadenzava la zampa come se ogni zoccolo pesasse migliaia di chili di piombo. Chi non lo conosceva profondamente si sarebbe immaginato che stava cercando di mantenersi fermo. Ma Zaïda e Telèsphore lo sapevano. Zaïda emise un profondo sospiro mentre allentava la stretta delle redini e Telèsphore sollevò il cappello, lasciandolo scivolare lungo la nuca. “Come mai non mi hai chiesto dove sto andando?” disse lei finalmente. Erano le prime parole che pronunciava dopo aver rifiutato il suo cambio di guida. “Oh! Non fa molta differenza dove stai andando.”

E allora la voce di Zaïda e Telèsphore, la voce di quella notte in Louisiana diventò la stessa che, una notte di cent’anni più tardi, mi tenne sveglia per ore, un racconto dopo l’altro, una donna dopo l’altra, a realizzare che finalmente avevo tra le mani un libro che avevo sempre cercato ma mai incontrato. Un libro appena uscito da una stanza appena aperta.

 

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