top of page

E se uno non ce l’ha una bandiera?

A metà tra realtà e invenzione, c’è un mondo americano là fuori che io non so come altro rendere se non restituendogli l’altra metà della realtà e l’altra metà dell’invenzione. I personaggi di questo racconto esistono davvero: siamo io, il professore amico di David Foster Wallace di cui vi ho parlato spesso ma che qui compare solo nella prima riga e una coppia di signori dell’Illinois. I loro due nomi, quelli dei loro figli e del cane sono inventati. Quello che è successo no. Anche se la finzione ha alterato, in parte, lo scorrere del tempo narrativo e il mio punto di vista ha selezionato esclusivamente quello che desiderava selezionare.

C’è una voce fuori campo, che era il motivo del mio stare in Illinois e che riconoscerete in fretta. Anche questa è metà realtà e metà finzione. O, meglio, è una citazione.


Raining Illinois

Charlie è in silenzio, guida nella pioggia sempre dritto. Le distanze sono troppo lunghe per poterle coprire interamente con chiacchiere e parole.

Neanche Ron è uno che parla molto. Ci siamo incontrati una mattina a colazione, nella cucina di casa sua come altre volte prima e dopo quella mattina, e mi ha chiesto se avevo dormito bene. Per niente, non avevo dormito per niente bene quella notte indigesta, ma a Ron ho detto benissimo, ho dormito benissimo nel letto grande di tuo figlio. Ron ha sorriso un poco, senza sapere che l’avevo salvato da una chiacchierata piuttosto pigra e disinteressata sul perché la notte era stata indigesta, e ha continuato a guardare in tv un flusso ininterrotto e stupendo di video musicali country. La tavola era apparecchiata con tovagliette a fantasia, panini, marmellata, succo d’arancia, latte, caffè americano, grandi bicchieri e due tazze. Alla mancanza del burro ho sopperito infilandomi nel frigo cromato ed estraendone un grande barattolo di plastica pieno di una crema porosa e soffice che dicono sia fatta di burro ma sa di sale. Il soggiorno era così profumato in quel silenzio umano pieno di deodoranti per la casa attaccati alle spine elettriche e di ballate country che realizzare lo schiocco del vento fuori mi ha di colpo impietrita. Brutto tempo, prevista pioggia, freddo pungente, vento costante con raffiche improvvise per ravvivare, ogni tanto, la noia.

Ero arrivata a casa di Ron tre giorni prima e lui mi aveva accolto come se stesse aspettando un pacco postale da maneggiare con cura ma senza troppo entusiasmo: non ero certo una bomba, ma non si sa mai. Il taxi che mi aveva scaricato a casa sua vi era arrivato spedito, io avevo detto al guidatore solo nome e cognome del capofamiglia e lui già sapeva tutto. Ron è uno che in città si conosce. La casa, ovviamente, era su un piano solo: il vialetto con gli alberi dalle calde foglie rosse nonostante il freddo, il prato verde, le pareti bianche, la cassetta della posta poco prima del garage, le tende fiorate alle finestre. Immobile sul portico, con la prima delle molte ipnotiche intensità che avrei provato più volte nei giorni a venire, guardavo me stessa riflessa dai vetri là dove non erano fiorati.

Di fianco a me sventolava una bandiera americana appesa religiosamente alla sua asta, un’altra – più piccola – era conficcata in un vaso da piantina appassita sul tavolino lì accanto. Di scatto mi girai a sinistra perché il vento schioccò. Il vento, “la variabile che più influisce sulle caratteristiche della vita all’aperto nell’Illinois centrale”. Un’altra bandiera sventolava fiera appena dopo essere stata schioccata: era quella della US Army, la più grande tra quelle individuate finora su questo portico ma – realizzai dopo un minimo istante – riprodotta in piccolo sulla finestra che mi specchiava e appiccicata in alto, per uno dei suoi lati corti tra i fiori delle tende.

Quattro bandiere per una casa.

Dov’è che le hanno prese tutti quanti le loro bandiere, quelle piccole specialmente, che si possono legare alla cassetta della posta? Sono ancora quelle del Quattro luglio che la gente si conserva, come le decorazioni natalizie? Dove hanno imparato a farlo? Nelle Pagine gialle non c’è niente sotto Bandiere.

A Ron la bandiera piccola della US Army gliel’ha consegnata l’esercito quando Mark è partito per l’Afghanistan. Pochi anni fa. Come usanza americana richiede, Ron ha attaccato la bandiera alla finestra della camera di Mark appena lui se n’è andato, lato strada così che sia visibile a tutti quelli che passano. Taxi compresi. Suo figlio è in guerra e il paese lo deve sapere perché è per il paese che Mark sta combattendo.

Una volta distolto lo sguardo da me stessa riflessa sotto una finestra armata e patriottica, suonai il campanello. Ron venne ad aprirmi calmo, mi invitò a entrare, mi aiutò a far entrare anche i bagagli e mi fece accomodare in quella che sarebbe stata, per un breve periodo, la mia stanza. Sul tavolo vicino alla finestra c’era una foto di Mark in canoa da ragazzino.

“Abbiamo anche un’altra stanza vuota, ma è più piccola e il letto è singolo, mentre qui hai tutto lo spazio che vuoi. Era la stanza di nostro figlio Mark.”

“Grazie infinite, Ron.”

“Nostro figlio Mark è in guerra, in Afghanistan, non sappiamo bene dove perché per legge non siamo tenuti a saperlo. Ogni tanto telefona per dirci che sta bene.”

“Ah, mi dispiace.”

“No, non devi. Noi siamo molto orgogliosi di lui, è stata una sua scelta servire il paese.”

E se ne andò senza aggiungere altro, facendomi capire che più di tanto non voleva interferire né con la mia privacy né con la mia intera persona, adesso che lui riteneva fosse ora di mettermi a mio agio e disfare la valigia.

“Alle sei mangiamo.”

Chiuse la porta dietro di sé e il silenzio che entrò al suo posto sapeva di vaniglia elettrica.

E se uno non ce l’ha una bandiera?

A tavola Ron mi presentò Cathy, sua moglie. Una donna ancora giovane e ben curata, aveva nello sguardo una macchia di vuoto che mi metteva a disagio. Non amava cucinare, mi dissero entrambi un po’ sommessi – a tavola con un’italiana c’è sempre da fare attenzione – e così quella sera era previsto un menù thailandese ordinato apposta per l’occasione. Io amo il thailandese e il mio sorriso li tranquillizzò presto. Mangiammo senza parlare troppo, la musica usciva dalla tv sintonizzata su un canale pop, ogni tanto Cathy si alzava per riempire i nostri bicchieri di acqua fresca direttamente da un beccuccio del frigo, io ogni volta che lo faceva la pregavo di non riempirlo di ghiaccio come invece era solita fare e distoglievo subito dopo lo sguardo da quella macchia di vuoto che si faceva sempre più grande.

“Sai,” disse rivolta a me, “non siamo sempre stati soli in casa.”

“Ho saputo che vostro figlio è in guerra.”

“Sì, Mark è laggiù.”

Ron fisso sulla tv, non prendeva parte alla conversazione. Ma si percepiva che, al contrario, lui c’era.

Cathy proseguì: “Avevamo un cane, quando vivevamo in Nevada. Un cane di piccola taglia, bianco e nero, col pelo cortissimo. È stato con noi per tanti anni, era simpatico e buono. Si ammalò quando noi eravamo pronti per trasferirci qui in Illinois e vivemmo un enorme dilemma. Sai, non era facile un trasferimento, per noi, un cane malato, c’erano ancora i ragazzi in famiglia, anche Sandy, intendo, il fratello piccolo di Mark.”

“Certo.”

Anche il ghiaccio usciva dal frigo, da un altro foro posizionato accanto al beccuccio dell’acqua.

“Fu orribile dal veterinario, ma in un certo senso fummo costretti. Sai..”

Ognuno dei loro bicchieri conteneva almeno dieci cubetti di ghiaccio. Il mio zero.

“Ogni giorno è con noi anche adesso comunque, da lassù.”

La sua mano posò sulla tavola il bicchiere del gelo e col dito non indicò il cielo, come mi stavo figurando mentre manovravo la mia anatra croccante già comunque magonata, ma la mensola di fianco a me, dove una piccola urna ricoperta di velluto scuro conteneva le ceneri del piccolo, simpatico, buono e morto Ferguson. Qualcosa che collegava le parole Dio, Ferguson e pace era scritto sul velluto dell’urna ma io non lessi.

“Ho saputo che vostro figlio è in guerra,” ripetei invece.

“Sì, Mark è laggiù.” Ripeté anche Cathy.

E finito di mangiare andammo subito a dormire.

————————————————————————————————————————————————

Le citazioni sono tratte dal reportage La vista da casa della sig.ra Thompson di David Foster Wallace, contenuto in Considera l’aragosta. Per un altro episodio simile di mondo americano (nel caso questo vi fosse piaciuto), vi rimando al mio post sulla gentilezza. Altrettanto inventato, altrettanto reale.

God Bless America.

bottom of page