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From Folk to Folks | Cosa si ascolta quando si ascolta l’America

Mio padre è un musicista. Sin da quando ero piccola mio padre ha cercato di insegnarmi una cosa: quello che non riesci a capire, ascoltalo. Quello che non sai spiegare, prova a dargli un ritmo. Se c’è qualcosa che non riesci a calmare, cullalo. Sii irrazionale, ascolta le vibrazioni, ascolta i tuoi respiri mentre il diaframma si muove. Sii corpo.

Nel paniere quasi senza fondo delle storie che l’America mi fa raccontare e che, a sua volta e per prima, mi racconta c’è un limite razionale, una superficie oltre la quale non riesco ad andare, un fondo oltre il senza fondo: il racconto della musica, le frasi per spiegare il ritmo, le parole che intendono le note. C’è tutta una parte d’America, sapete, che noi sordamente chiacchieroni rischiamo di non conoscere. C’è tutta la musica d’America in una nota che noi, spesso limitati dalle parole e spesso le parole che diciamo a noi stessi, non sappiamo ascoltare.

Accade così che, quando si tratta di musica, io faccio inversione e torno da adulta a bambina, da racconto a corpo, da maestra ad allieva. Torno da moderna a primitiva, da chiacchierona a muta. C’è forse qualcuno di voi, là dietro, che ascolta la musica con la ragione?


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Quando i neri arrivarono dall’Africa all’America con sé portarono la musica.


Una vecchia canzone dei Chemical Brothers si intitolava proprio così: It began in Africa. Oggi che i Chemical Brothers li ascolto sempre meno, a casa mia c’è Thomas, lo stesso Thomas delle Figurine, di Big Sur, del logo dei Book Riders e ospite fisso a tutti i miei corsi proprio perché gliel’ho detto che io oltre tanto non riesco ad andare, che mi dice la stessa cosa. Nasce tutto dall’Africa: il blues, il gospel, il jazz. La struttura a 12 battute, quella più facile – mi dice ancora lui – da suonare in compagnia, quando si sta tutti insieme e ognuno si sente libero di inserirsi nel flusso della musica e intervenire come vuole. La struttura a 12 battute, quella che ha portato il ritmo primitivo nella modernità e che, però, ci fa restare ancora primitivi.

Il 26 marzo Thomas, in collaborazione con la giovane associazione torinese Babelica, inizia un corso di esplorazione della musica folk americana (con qualche capatina anche in Europa e, certo, in Africa) a cui io – voracemente bisognosa di stare ad ascoltare e smettere di parlare – mi iscrivo. A convincermi, a parte la durevole collaborazione con il maestro che ormai non mi fa avere più alcun dubbio sul suo valore artistico e professional, c’è stato il titolo: dal folk, la musica, ai folks, i suoi personaggi. E ancora: dai folks (i compagni, la gente, gli amici, la cricca) al folk (la musica del popolo, quella delle radici, quella fatta proprio dalla gente in mezzo alla gente, dalla cricca quando si ritrova e offre una birra al nuovo arrivato).

Una birra.


Iniziamo, allora, da una birra. Thomas ha detto che – come in effetti sospettavo – lui a lezione non spiegherà niente. Al contrario, lui a lezione porterà delle cose e da quelle cose – mentre le assaggiamo, le tocchiamo, le sfogliamo, le guardiamo – si avvierà spontanea l’esplorazione della musica, sua e nostra: lui suonerà, ricreerà per noi gli ambienti e le atmosfere dei primi blues con strumenti d’epoca, selezionerà video o brani rock, ci dirà che il documentario Sonic Highways dei Foo Fighters (HBO) è una figata pazzesca anche se a lui i Foo Fighters non è che siano mai piaciuti da strapparsi i capelli.

E poi, una volta domato il bisogno fisico di oggetti e cose, allora risponderà alle nostre naturali curiosità e ci racconterà della Memphis Jug Band, la band più famosa a suonare con il collo di bottiglia, il collo di bottiglia della birra del Mississippi, proprio quella che ci ha offerto a inizio lezione e sa di fango. Oppure dei cantautori di protesta, che hanno iniziato con Woody Guthrie e sono finiti con Bruce Springsteen, e che, mentre Bruce oggi fa impazzire di rock gli stadi, Woody ci avvolge dai suoi mondi di leggendaria povertà con un ritmo molto più quieto e narrativo, quello del suo Questa terra è la mia terra.

Siccome gli piace improvvisare ma sa anche come suscitare il nostro entusiasmo, Thomas a lezione unirà la musica al disegno e alle parole, portandoci a vedere (e sfogliare) i graphic novel che abbiamo sempre sognato (tipo quelli su Johnny Cash, Jimi Hendrix e Kurt Cobain) e alcune chicche di perfetta e colorata armonia come queste: Heroes of Blues, Jazz & Country di R. Crumb’s o You got to move. The Land of Roots Music, il racconto per immagini del viaggio di una fotografa, Francesca Castiglioni, negli stati americani del Sud, sulle tracce del blues. Il tutto per coprire un arco temporale che è quello che noi chiamiamo, comunemente, Novecento.


heroes of blues jazz & country

Alcune delle bellissime tavole di “Heroes of Blues, Jazz & Country”.


C’è un testimonial d’eccezione per questo corso, un testimonial che tutti amiamo molto e a cui Thomas dedica – l’unico in mezzo a un folto e stellare gruppo di colleghi – una lezione singola: Johnny Cash. Proprio perché lo so che è venuta quella famosa ora in cui ho toccato il limite dello spiegabile ed è bene che – fuuu – mi plachi, lascio cantare lui e pensare voi: non so se Thomas ha la risposta a questa domanda, ma di certo ha la lodevole passione, la tenace intenzione di trovarla. Che cosa si ascolta quando si ascolta l’America?

Salite sul treno e vedete dove porta.


INFO:  qui il programma del corso di Thomas. Potete iniziare a calarvi nelle atmosfere musicali seguendo la rubrica #FromFolkToFolks a questo link. Il corso verrà, infine, presentato mercoledì 18 marzo alle 20.30 presso la Galleria dei Suoni, via Ormea 34, Torino.

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