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Gli articoli americani di maggio 2019

Dopo la pausa forzata di aprile (ero in Texas con i Book Riders e leggere cose esterne era l’ultimo dei miei pensieri), torna la rassegna del mio giornalismo preferito: sono successe tante cose in questi due mesi, ognuno di questi articoli o servizi può esserne un’interpretazione. Ci sono una certa abbondanza di linguaggi e una certa varietà di temi: auguro a ognuno di trovare il proprio preferito!

Non siate solo spettatori volanti, però. Vale la pena andare a fondo in almeno tre occasioni, qui sotto.


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Foto di Cody Hiscox


  1. Iniziamo subito da una di queste, nonché da uno dei miei magazine preferiti, Topic (come già sapete). Il tema di questo mese è Mothers, il saggio fotografico che propongono è sul baby blues, ovvero la depressione post-partum. Non è un tema che mi riguarda da vicino e – confesso – avevo una certa riluttanza a leggerlo. Fortuna che l’ho fatto, però: per quanto doloroso, è necessario andare oltre una certa narrazione culturale della maternità e della femminilità. Una narrazione che, nei mesi subito successivi al parto, vuole ancora la donna felice e appagata e il neonato perfetto e angelico. Bullshit.

  2. Qualcosa da dire sul corpo delle donne ce l’ha anche Rita Bullwinkel, l’ultima autrice di racconti pubblicata da Black Coffee. L’intervista che ha rilasciato alla Paris Review si intitola proprio This Flesh Container We Call a Body.

  3. Corpi, corpi e ancora corpi, i protagonisti di un altro saggio fotografico di Topic, questa volta dedicato a uno dei riti più imperituri, sfacciati e nudi degli Stati Uniti (in particolare della Florida): lo Spring Break. Credo che il bacio di un uomo al sedere della sua donna – un sedere fasciato in un costume a stelle e strisce  – fotografato in apertura sia davvero un ottimo inizio.

  4. Peccato che Bret Easton Ellis non parli dello Spring Break nel suo ultimo libro, White, in cui in effetti sembra parlare proprio di tutto! Bret è tornato, e questa volta l’ha fatto non costruendo trame narrative bensì raccontandoci cosa pensa del mondo. Del nostro mondo, quello in cui c’è Trump, la tecnologia digitale e una certa spaccatura sociale. Inutile dire che le sue opinioni sono scomode. Inutile dire che è un piacere leggerle, se si ha il coraggio di accarezzare la realtà contropelo.

  5. A proposito di Ellis: il suo capolavoro American Psycho, uscito nel 1991, raccontava la psicosi del consumismo degli anni Ottanta, personificata dallo yuppie di Wall Street Patrick Bateman. Secondo voi lui si sarebbe riconosciuto in questa New York? Vi sembra la stessa o è tutta un’altra città?

  6. Qualsiasi sia la New York degli anni Ottanta (e la sua eredità), certo è diversissima da quella che tanti chiamerebbero l’America profonda: sembra impossibile che certi opposti possano far parte della stessa entità nazionale, non credete?

  7. Forse per rispondere a questa domanda dovremmo affidarci a chi ha fatto dell’assurdo la propria musa, la propria tensione letteraria. Il grande Kurt Vonnegut. La recensione di Marco Belpoliti al suo ultimo libro riproposto da Feltrinelli mi ha veramente incantato.

  8. Sapreste trasformare in realtà l’assurdo di Vonnegut? E il realismo magico? E il discorso indiretto libero? Dopo che il camp ha trovato posto in passerella durante l’ultimo Met Gala, quei geni di Electric Literature hanno provato a immaginare come sarebbe indossare e far sfilare diversi altri concetti letterari.

  9. Lo stile ha le sue leggi, non è sempre facile conciliarle. Neanche quando si tratta di copertine di libri, neanche quando si tratta di un grande come Raymond Carver. Tra queste 50 ce ne sono alcune semplicemente orribili.

  10. Una cosa del genere non sarebbe potuta succedere a J.D. Salinger: lui desiderava che le copertine dei suoi libri rispondessero a indicazioni molto precise, le sue. Tant’è che alcune – come quella tutta bianca de Il giovane Holden einaudiano –  hanno fatto storia. Spiega così suo figlio (che ho incontrato personalmente qualche settimana fa, come racconto qui), fornendoci del padre un ritratto diverso da quello che ormai tendiamo ad avere. In attesa di leggere le opere inedite di J.D. – ormai ampiamente annunciate e date per certe – cerchiamo di rispondere a un’altra bella domanda oltre a “dove vanno le anatre d’inverno?”. E la domanda è: “cambia qualcosa di uno scrittore se cambia la sua reputazione?” Secondo me, alla fine, no.

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