Ti hanno detto di leggere questo libro? Puoi non farlo
Non mi era mai successo, da quando ho aperto questo blog, di volermi prendere del tempo (e chiederne a voi) per stroncare un libro. Ho sempre ritenuto che fosse meglio per tutti – in un’ottica di risparmio di una risorsa, il tempo appunto, davvero molto preziosa – scrivere di libri interessanti, curiosi, strani se non del tutto belli: in generale comunque, scrivere di libri che meritassero per qualche motivo una lettura.
Fino a oggi. Oggi che finisco Asimmetria di Lisa Halliday e dal cuore mi viene l’impeto di suggerirvi di non leggerlo. Di andare contro tutti gli articoli di giornale, i post e le interviste che dicono di farlo e di rivendicare il vostro – il nostro – diritto di non essere presi per il culo. Non tanto dall’autrice, che a me sembra abbia fatto un semplice primo tentativo di scrittura sperimentale, quanto piuttosto da chi ha sostenuto a gran voce che questo primo tentativo abbia sfiorato se non del tutto centrato il capolavoro. La massima riuscita. La perfezione del tutto che sta appunto nell’asimmetria delle parti.
Bullshit. Questo libro è un esperimento formale piuttosto scolastico e, a mio parere, così va interpretato.

La storia si apre con una prima narrazione intitolata Follia, in cui si racconta una relazione sentimentale e sessuale tra una giovane redattrice e uno scrittore più vecchio di lei molto famoso e pluripremiato, facilmente identificabile con Philip Roth. La seconda parte, invece, si intitola Pazzia e narra le vicende di un ragazzo iracheno fermato dalle autorità aeroportuali inglesi che, mentre cerca di gestire il fermo a Londra, ripercorre un flashback dopo l’altro la sua vita tra Brooklyn, Baghdad e Los Angeles. Sullo sfondo di entrambe le storie scorrono: una buona fetta di storia americana, diversi riferimenti politici e aneddoti letterari, funzionari della polizia e del giornalismo, grattacieli di Manhattan e bombe sull’Iraq, un po’ di femminismo e tanta della schizofrenia informatica che caratterizza il nostro tempo. A chiudere il libro, infine, un’intervista radiofonica a Ezra, lo scrittore che somiglia a Philip Roth e che, al contrario di quest’ultimo, ha appena vinto il Premio Nobel e snocciola canzoni e segreti, segreti e canzoni, lasciando dietro di sé quelle due parole – follia e pazzia – che sembrano davvero non sfiorarlo.
Tra una parte e l’altra del libro nessun nesso apparente, nei titoli solo confusione, nelle trame appena uno o due indizi tematici, nel finale nessuna conciliazione di forme e personaggi.
E non che sia questo a disorientare, anzi. Prima della Halliday abbiamo avuto i postmoderni, poi Pynchon, poi Didion, poi DeLillo, poi Wallace, poi Marcus: sappiamo stare al gioco quando qualcuno ci toglie i riferimenti da sotto il naso, siamo già stati educati a destreggiarci nel testo cercando di colmare i vuoti e di fare i collegamenti, abbiamo una tale dimestichezza con la letteratura-gioco che se compriamo un libro che si chiama Asimmetria certo non ci mettiamo comodi in poltrona ad aspettare di stringere la mano al deus ex machina.
E sta qui il punto, allora: cosa c’è in questo libro oltre a questa operazione di sottrazione e giustapposizione? Dove devo cercare per trovare la crepa da cui scaturisce la genialità? Quando mi arriva il pugno in testa o quello nello stomaco? Come mai se faccio nella mia testa il lavoro che mi hanno già insegnato gli scrittori di cui sopra (e anche quel Roth di cui dentro) alla fine mi viene solo voglia di scagliare il libro il più lontano possibile da me?
Le asimmetrie messe in gioco nel testo da questa autrice non hanno nulla di originale: non quella dell’età nella prima parte, non quella delle etnie nella seconda; non quella del sesso o della politica o della scrittura o del denaro o della morte. Non quella del gossip, ché se veramente dobbiamo credere che Lisa stia scrivendo di Philip quello vero allora, ragazza mia, vai a leggere cosa ne scrive Livia Manera Sambuy e godi (se proprio non riesci a emularla) della sua eleganza, della sua tenera (auto)ironia, del suo senso del mistero e del non detto (appunto); non quella dell’ingiustizia, ché se apriamo un qualsiasi giornale del 2019 e leggiamo una qualsiasi storia vera di immigrazione in Italia o in America restiamo talmente scioccati e umiliati come esseri umani che quasi quasi dell’Iraq ci viene nostalgia; nemmeno infine quella dello svuotamento, ché se ho appena scritto che quasi quasi abbiamo nostalgia dell’Iraq figurati come siamo messi male a livello di investimento emotivo o sentimentale o persino intellettuale sul futuro.
È sempre possibile che, quando un libro elogiato da molti non ti piace, il problema sia tuo. È anche possibile, però, che a volte gli elogi siano più una questione di tempi che di valori: in altre parole, è possibile che siano più il sintomo di un trend che di un’obiettiva constatazione critica. Sono piuttosto convinta che gli elogi ad Asimmetria rientrino in questa seconda tipologia e che tra cinque anni – ma forse anche meno – quelle stesse lodi si saranno perse in una lontana ed evanescente eco.
Se sentiremo ancora parlare di Lisa, tuttavia, secondo me sarà merito di due cose, due salvagenti: le descrizioni dei luoghi (la sua New York notturna mi è piaciuta molto), l’ufficio grafico di Feltrinelli, che per questo testo ha scelto veramente una copertina magnifica!
PS: tra le tante recensioni entusiaste che potete leggere per avere un giusto contraddittorio, segnalo questa di Francesco Pacifico. Vedremo poi chi aveva ragione.