La McMusa

6 mag 20163 min

Charles D’Ambrosio: come Carver, ma a colori

Raymond Carver ci ha insegnato che la vita di provincia americana vive di una sorda corposità e di contorni rifiniti e scolpiti nel silenzio. To carve, in inglese, significa “scolpire, cesellare”: Carver, in letteratura, ha finito così per significare cesellatore, scultore di scrittura. Non minimalista, bensì precisionista: eliminato dalla storia tutto quello che non è necessario, la pagina carveriana crea il suo posto di realtà con una materia narrativa che è tanto più potente quanto precisi ed essenziali sono i suoi confini.

Non so se è stato semplicemente questo o, più probabilmente, la frequentazione lunga e ripetuta della Carver Country del fotografo Bob Adelman a farmi intendere i racconti carveriani come situazioni sempre in bianco e nero: storia dopo storia, un album di scene di pesca, di cene e pranzi e dialoghi visti da una finestra, di viaggi su treni lenti, di divani e sedie e frigoriferi logori, di televisioni e radio accese di là, di jeans e camicie lasciati su un letto disfatto, di bottiglie vuote, di scene – appunto – in cui non c’è il colore, ma prevalgono i contorni in tratto nero e i silenzi come laghi bianchi tutt’attorno.

Paolo Cognetti diceva che la potenza del non detto dei racconti di Carver sta tutta nella domanda che si fanno i lettori la prima, la seconda, la terza, l’ennesima volta che leggono – un unico album, un’unica domanda – queste scene in bianco e nero tutte simili, eppure ognuna un po’ diversa: ma perché tutti i suoi personaggi bevono?

Perché i personaggi di Carver sembrano poter confessare la loro risposta alcolica appena fuori dalla scena in bianco e nero della pagina, quando infatti su quella pagina non ci sono più?

Raymond Carver sulle spiagge dello Stretto di Juan de Fuca, Washington. (1984)

La risposta a questa domanda non può che arrivare – se deve – dall’altro lato del lago bianco di silenzio. Dall’altro lato dello Stretto di Juan de Fuca dove Carver compone di passi la sua personalissima scena in bianco e nero. Dall’altro lato della direzione: non il bianco e nero che cesella i contorni, ma il colore che quei contorni riempie. Colori che, guarda a caso, somigliano tutti alla gamma cromatica dell’acqua: dal nero dell’oceano lontano al verde del riflesso cristallino, dal blu delle nubi all’orizzonte al grigio della pioggia. La risposta d’acqua e di alcol è un’onda dello Stretto di Juan de Fuca sulla quale la protagonista del racconto La Punta di Charles D’Ambrosio proietta il suo buco nero.

Anzi, la risposta è il buco nero.

Questo è quello che degli adulti ha capito Kurt, il ragazzino protagonista del racconto che apre la splendida prima raccolta dello scrittore di Seattle, Charles D’Ambrosio; ragazzino che trascorre l’estate riaccompagnando a casa (e spesso mettendo a letto, sotto le coperte) gli amici della madre che non hanno saputo tenersi al di qua della soglia della sbronza colossale durante una delle sue mondane e costose feste a La Punta, Washington. Stretto di Juan de Fuca. Lo stesso da cui partiva l’onda di Carver. La domanda di Cognetti. Il bianco e nero del perché.

Se è difficile immaginare una cosa del genere, se è difficile immaginare la grazia – ripeto – di un’operazione del genere, allora prendete Drummond e figlio, il secondo racconto de Il museo dei pesci morti. In un tempo in cui i racconti si compongono con il pc e si leggono su uno schermo, ci sono un padre e un figlio che, nel cuore della piovosa e introspettiva Seattle, riparano macchine da scrivere. Le riparano con la cura che si riserva alle cose belle ma anche utili, alle cose che devono tornare a funzionare e a fare bene il proprio lavoro. Il negozio di Drummond e figlio si trova davanti a una fermata del bus e, siccome a Seattle piove tanto, spesso nel negozio entrano persone in cerca di caldo e asciutto. Persone che, per ingannare l’attesa, iniziano a provare le macchine da scrivere lasciando tracce narrative su fogli bianchi che Drummond provvede a cambiare spesso. Qualcuno, qualche scrittore, entra anche per portare a riparare la propria macchina da scrivere e sempre dietro di sé lascia il racconto della sua ansia. Insieme, le storie degli scrittori e quelle degli avventori senza ombrello, compongono un unico album che Drummond sfoglia la sera prima di dormire trovandoci scritte sopra le infinite sfumature delle emozioni umane.


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