Come tante storie che nascono a New York, anche questa è una storia d’amore. Erano gli anni Novanta, un miglio e mezzo di ferrovia sopraelevata nella zona West della città si era trasformato – dopo tempi lenti d’abbandono e scomparsa – in rifugio di creature floresche selvatiche, l’amministrazione era pronta a sganciare le flotte di demolizione, eleganti motivi d’acciaio massiccio erano destinati a scomparire per sempre.
Erano gli anni Novanta ed era un miglio e mezzo.
Nel 1999, grazie all’innamoramento (progettuale) di due cittadini che abitavano lì accanto e che forse si accorsero di lui per la prima volta guardando fuori dalla finestra in modo diverso dal solito, quel miglio e mezzo non divenne qualcos’altro, qualcosa di protetto e curato: la High Line, un parco urbano unico al mondo che, insieme a sopraelevare sguardi, persone e piante, elevò e mise alla portata di tutti una nuova visione della città. Una visione verde, resistente e – poiché riesce a intrufolarsi dappertutto senza che nessuno la possa cacciare via – anche divina.
È una fuga, ma non una fuga dalla città. È una fuga dalla normale esperienza della città. Ci connettiamo con la città da un nuovo, incredibile, punto di vista. È come essere in una galleria di museo vivente, se vogliamo, solo che quel museo è la città. È una linea sopraelevata, ma non alta: ti protegge dalla strada ma continui a sentire l’energia che dalla strada proviene.
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Questa è una delle mie Figurine, la collezione di curiosità americane più o meno introvabili che oggi riprende vita dopo una lunga pausa.
Livello di introvabilità di questa figurina: medio.
È stata scritta dopo aver visto questo video e averne apprezzato la poesia e, sì, l’amore. Perché per resistere al tempo, al degrado e all’incuria ci vuole sentimento e la città, quando amata, può diventare una grandissima compagna. È stato questo il pensiero di Joshua David e Robert Hammond quando nel 1999 fondarono i Friends of the High Line, un’associazione che da ormai più di 15 anni si prende cura del parco ed è responsabile del suo recupero architettonico, del suo verde, della proposta culturale che da lassù viene fatta ogni settimana e della sua manutenzione. È stato questo anche il pensiero di Luca Molinari, storico e critico dell’architettura, e Marta Gerardi, illustratrice, che sabato 28 marzo, in occasione di un incontro curato dalla Fondazione Ordine Architetti Torino per la manifestazione Biennale Democrazia, presentano la graphic novel Architetture resistenti e discutono di cosa voglia dire per una città, un edificio, un giardino resistere alla bruttezza e al tempo e avvicinarsi con armonia al cittadino.
Durante l’incontro di sabato (ore 11, Teatro Gobetti) ci sarò anche io: presenterò agli spettatori proprio la High Line e la farò gareggiare contro l’architettura resistente scelta da altri tre ospiti (The Sweet Life Society, Davide Barbato e Mauro Berruto). Si vincerà per alzata di mano del pubblico: per tale motivo gli organizzatori consigliano avere un asso nella manica da sfoderare per sbaragliare la concorrenza. Io ho deciso di portarmi dietro le foto di Joel Sternfeld, che fotografò la High Line senza filtri, con una macchina foto vintage, quando ancora lassù era tutto selvatico. Bello, vero?
Uno degli scatti di Joel Sternfeld prima che la High Line venisse trasformata.
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Realizzazione grafica della figurina a cura di Thomas Guiducci.
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