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Cosa NON è Austin, la capitale del Texas

Austin non è anonima, non è grande, non è repubblicana.

Austin non è tipica, non è turistica, non è razzista.


Austin non è l’America di Trump, quella di cui tutti parlate adesso ma che non conoscevate fino a un anno fa, l’America che tutti hanno fretta di spiegare rintracciare indagare studiare interrogare, a volte senza neanche averla mai visitata, a volte senza averla neanche voluta visitare, l’America che adesso è sotto i riflettori di tutti i media, l’America senza prospettive a parte quelle che nascono su un divano e muoiono sullo schermo di una tv. Una tv grande, ché grandi sono i sogni che la realtà ha tradito e la finzione deve ricostruire.

Austin non è l’America della televisione, è quella della musica e dell’arte.


Austin non è il Texas degli stereotipi, gli stereotipi che tutti sappiamo e che a qualcuno piacciono a qualcuno invece no, il Texas delle praterie e della musica country, il West che veste di cuoio e porta le pistole alla cintura, il West con nelle orecchie il canto dei lupi e quello dei serpenti, con negli occhi il tremore dei cavalli e quello dei buoi, il Texas romantico, selvaggio, crudele e malinconico della letteratura, il West arancione del cinema, il Texas del cielo infinito e degli infiniti dispersi che sotto quel cielo puntano verso una speranza. Un altro sogno. Una frontiera.

Austin non è il Texas della frontiera, è quello della contaminazione e del colore.

Austin non l’America dei grattacieli, l’America che si guarda con il naso all’insù e il collo indolenzito, l’America megalomane che finisce lo spazio in orizzontale e allora punta verso il cielo, l’America che corre calcola sfreccia scavalca impenna, l’America spietata degli affari e della finanza, l’America che guarda a se stessa come unico punto di riferimento di successo del mondo e allo stesso tempo teme la sua stessa ombra, l’America della concorrenza e il capitalismo vorticoso e la guerra con tutti e la mors tua vita mea. La terra della libertà e del coraggio, e dell’esaurimento di entrambi.


Austin non è l’America dell’esaurimento, è quella del moltiplicarsi della creatività, del rinnovarsi delle tendenze, della modernità che sa farsi avanti senza dimenticare la tradizione.


Austin non è il Texas delle grandi narrazioni, così come non è l’America di chi ha solo risposte. Esistono un Texas e tanto più un’America che ogni giorno cambiano, mutano forme e orizzonti, genti e politiche, virtù e difetti. Un Texas e un’America su cui ancora non hanno scritto nessun libro anche se tutti lì si recano per ricevere ispirazione e magari scriverne uno. Un Texas e un’America che piacciono a chi ama le domande, a chi ama mettersi in discussione, a chi non ha da spiegare niente a nessuno perché è ancora – entusiasta e umile insieme – troppo impegnato a capire.


Una volta ho scritto che il Texas ha la stessa forza di un elastico, ti obbliga a rivedere i contorni del tuo immaginario e ad adattarli a spinte che non credevi possibili. Austin è il tessuto primario di quell’elastico, una città – la capitale – in cui si sta bene e in cui si respira aria fresca quando tutt’intorno la terra brucia. Una città – la capitale, con quel Capitol che si staglia immenso nel cielo e lo illumina di calore, sia di giorno che di notte – che non sa di niente altro se non di futuro, un giovane ragazzo che non è bambino e non è adulto ma che proprio per questo motivo è contento di stare al mondo e trova tutti i modi per dirlo in giro.

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