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#lovingNYC | Soggetto

C’è questo film stupendo su New York che si intitola New York, I Love You. Non so bene perché, questo film in Italia non è mai arrivato. New York, I Love You è l’esperimento di 11 registi che raccontano 11 storie d’amore ambientate in città, dedicate alla città, dirette dalla città. 11 storie legate tra loro eppure fortissimamente distinte, 11 storie in cui I Love You vuol dire sempre quella cosa lì ma 11 volte diversa. Se New York è una città dalle mille luci, immaginate quante forme può avere l’amore, qui.

A recitare in questo film ci sono attori molto importanti, a dirigerlo registi non da meno. Le storie durano poco, il tempo di un incontro, io ne ho tre preferite: in una c’è un vecchio albergo con lunghe tende bianche che sembrano fatte di vento, in un’altra ci sono una caffetteria e uno scrittore, in un’altra ancora un taxi giallo e la metropolitana che corrono indefinitamente l’uno verso l’altra. Anche quella che finisce a Coney Island mi fa morire di tenerezza, ma chi non ne morirebbe con due personaggi così?

Oggi sono seduta in un parco e leggo un libro meraviglioso. È un libro di mappe, un libro di punti che si uniscono a formare geografie sempre uguali (Manhattan, The Bronx, le isole, Harlem..) che però sono sempre diverse per temi o stili o punti di vista. L’idea è basica: ogni mappa mappa qualcosa di diverso, New York è una sola città ma anche un milione. Dipende da chi la guarda. Una meraviglia continua, sono così immersa nel libro che la testa mi si intravede per poco, ho le formiche alle gambe, il telefono scarico e un grande sorriso.

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Bryant Park è il parco preferito di una ragazza che viene qui sempre quando c’è il jazz. E il jazz a lei non piace. Tutti occupano due sedie a Bryant Park – una per la schiena, l’altra per le gambe – tranne la ragazza. Tutti mangiano qualcosa o bevono o telefonano o dicono a Bryant Park, tranne la ragazza. È arrivata dalla Fifth, quel pomeriggio, contenta perché c’era il cielo limpido, triste perché in quel cielo limpido aveva letto una bella storia ancora da rimandare. Una storia che finiva – o cominciava – sull’Empire State Building. Sulla Fifth, appena lo aveva visto allungarsi lassù, aveva riso e pianto contemporaneamente. C’è qualcuno a casa a cui vorrebbe scrivere qualcosa, ma non sa cosa. La ragazza di Bryant Park ha un vestito verde acquamarina, gli orecchini dello stesso colore, una borsetta fatta a mano, buone scarpe, uno zaino. Nello zaino, un portafortuna che ha visto più America di lei e del quale non si ricorda mai. Mentre sta seduta e tutti fanno qualcosa lei non fa nulla. Poi, dopo un po’, apre lo zaino, prende un libro, lo sfoglia, si ferma su una pagina doppia. C’è la mappa delle meraviglie di New York negli anni Cinquanta, la ragazza è curiosa, le scritte sono minuscole, si china talmente tanto dentro il libro che il cielo sopra di lei, gradualmente, si svuota.

New York è la città più mappata al mondo perché è anche la più accogliente, qui c’è posto per tutti. E se c’è posto per tutti allora tutti hanno bisogno di trovare un segno, una strada, qualcosa che mappi la loro esistenza, qualcosa che dica loro, un giorno, You Are Here. Come per l’amore: New York è la città più amata al mondo perché è anche la più generosa, tutti qui trovano qualcuno o qualcosa da amare. E se tutti trovano un amore allora tutti hanno bisogno di trovare anche qualcuno o qualcosa che ricambi, qualcuno o qualcosa che restituisca quell’amore, qualcuno o qualcosa che dica loro, un giorno, I Love You Too.

Io vorrei che il mio pezzo di film lo dirigesse Wim Wenders. Il soggetto è già qui, la ragazza di Bryant Park sono io.

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