Continuano le Lezioni Americane, la rubrica in cui si raccontano le tappe del mio viaggio/corso di Letteratura Americana e insieme si scopre come, perché e soprattutto con chi andare per le sue strade. Tenendo sempre bene a mente una cosa: il corso è un esperimento narrativo a motore acceso, dove si guarda alla strada come luogo ideale per incontrare scrittori, musicisti, registi, politici, artisti ed editori, dar loro la parola e farci raccontare il paese in cui vivono, lo stato – in particolare – attraverso il quale passa il loro cammino.
In questi mesi giriamo il PACIFIC NORTHWEST e la quinta tappa del viaggio è come una breve sosta, come il momento in cui si rallenta la corsa perché il paesaggio – geografico quanto letterario – che abbiamo esplorato fin qui ha bisogno di essere fissato. Assimilato. Questa tappa l’ho chiamata così:
I 4 ELEMENTI DEL PACIFIC NORTHWEST – ACQUA, TERRA, ACQUA E FOLLIA
e come guida ho scelto una donna giovane e, perché no, un po’ speciale. Cosa strana per me, che – se qualcuno ancora non se ne fosse accorto – strutturo corsi, letture e vita intellettuale sulla base di una predilezione un po’ ossessiva (ma senz’altro seducente) per gli autori maschi. Lei si chiama Carrie Brownstein, è nata e cresciuta nello Stato di Washington e poi, circa dieci anni fa, si è trasferita in quello dell’Oregon, in particolare a Portland, la città strana d’America di cui è spassosa interprete. Fu infatti lei ad accoglierci alla partenza e a portarci dentro quel telefilm geniale, ironico e un po’ hipster che è Portlandia: un ritratto della sua città che lei ha creato da zero, che sta incantando tutta la nazione e in cui recita la parte di uno dei due protagonisti principali.
Tranne qualche brano, questo libro in Italia non è ancora stato tradotto. Io mi offro volontaria. Capito?
Attrice sì, dunque, ma anche scrittrice, musicista, giornalista e sceneggiatrice, qualche tempo fa Carrie ha contribuito alla creazione di un libro bellissimo sugli spazi letterari degli Stati Uniti dal titolo State by State: a Panoramic Portrait of America. 50 scrittori, fumettisti, intellettuali per 50 stati americani. Ad ognuno il proprio stato di appartenenza: c’è Dave Eggers per l’Illinois, Joshua Ferris per la Florida, John Jeremiah Sullivan per il Kentucky, Jonathan Franzen per lo Stato di New York e così via. Una volta assemblati i testi in un unico volume, si è così composta una geografia dell’immaginario americano e, dall’altro lato, un ritratto sfaccettato di un paese che è uno ma è anche – e soprattutto – 50. In questa occasione Carrie ha scritto il ritratto dello Stato di Washington ed è proprio di questo testo – insieme ad alcune sue interviste specifiche sull’essenza di Seattle e Portland, e sull’identità vera e propria di un “northwestern” – che mi sono servita per orchestrare la lezione. Una lezione di close-reading, che ha danzato lentamente per punti fino ad accelerare verso quello esplosivo: una frase di Carrie che per me rivela tutto quello che c’è da sapere sulla peculiarità creativa e umana di una zona del mondo come questa. Una frase scritta a proposito di Kurt Cobain, ma che va bene anche per gli altri artisti incontrati fin qui:
Cobain scrisse canzoni ombrose che flirtavano con la luce ma non sempre la trovavano. L’esposizione può disorientare, può essere strana per chi trascorre la maggior parte dell’anno sotto un cielo annuvolato. E quando ti senti esposto l’unica urgenza è quella di sparire.
Seattle, la città smeraldo, e il suo simbolo, lo Space Needle.
La relazione tra natura e uomo, in particolare tra acqua che arriva da sopra (pioggia incessante), alberi che rendono la terra un’unica foresta verde smeraldo (Seattle è chiamata, per l’appunto, Emerald City), acqua che arriva da sotto in forma di fiumi, laghi argentei ma soprattutto penetrante umidità, questi tre elementi naturali messi in relazione con l’uomo non possono che creare diverse forme di disorientamento, diverse declinazioni di follia. Da quella di Brautigan tinta di dolcezza e fanciullezza, a quella di Carver ritirata nelle periferie incancrenite dalla quotidianità e nell’alcol finto consolatore, a quella di Robbins completamente psichedelica e magica, a quella – certo – di Cobain intrisa di sensibilità e paura.
C’è un elemento che, come un comune denominatore, raccoglie questa relazione e la mette sulla pagina di tutti e tre gli scrittori menzionati. Come un simbolo, un rito, una fuga e un’espiazione, una macchia e una salvezza: l’azione della pesca. L’uomo che entra nell’acqua e ne caccia i frutti. L’uomo che, mentre si protende verso un fiume o un lago e vi cerca conforto, trova, in realtà, contrasto. Provate a leggere uno in fila all’altro i racconti Galleggiante, La cucina, Dì alle donne che usciamo, Nessuno diceva niente e Con tutta quell’acqua a due passi da casa di Carver; poi passate, senza sosta, ad American Dust e Pesca alla trota in America di Brautigan; e concludete con Uno zoo lungo la strada di Robbins. Noterete una cosa: che, per quanto la terra e l’acqua siano state domate dall’uomo (e cos’è la pesca se non una metafora di addomesticamento del selvaggio?), la wilderness, ovvero lo stato brado e selvatico della natura, vince sempre.
Senza scomodare Poe o Melville o gli altri grandi della tradizione, il concetto di wilderness rappresenta da sempre una delle colonne portanti dell’immaginario americano: basta visualizzare per un attimo la grande avanzata della civiltà verso Ovest, un’avanzata iniziata secoli fa e non ancora finita, dove Ovest vuole dire terra promessa ma anche landa immensa, pericolo, indiani, lotta per la sopravvivenza e la supremazia, mistero, progresso. Incertezza. Mitologia.
Come un tappeto di pelle d’orso nel soggiorno o come delle corna d’alce sopra il caminetto, molta della wilderness del Pacific Northwest è stata commemorata e spostata all’interno. Ma i residenti di Washington sentono la wilderness in mezzo a loro tutto il tempo. But there will always be wildernss to discover, and wilderness we’ll never know
In una terra dove la terra è più forte, dice Carrie Brownstein, l’uomo può anche vivere bene, a patto che con quel cielo pieno di nubi e quell’oceano color argento instauri subito il giusto rapporto di forze. Pena: la follia, la stravaganza, l’essere fuori dagli schemi. Pena: la creazione della più grande cultura underground della nostra storia recente. Pena, ancora e dunque, il grunge.
Più info su Carrie Brownstein e la sua relazione con il Pacific Northwest, così come il paragone tra Seattle la madre underground e Portland la figlioletta alternativa, li trovate qui, qui e qui.
Se però non sapete da che parte cominciare e volete rivivere attimi della vostra adolescenza, be’, allora avete tutta la mia comprensione e, vi dico, godetevi Singles.
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Nella sesta tappa del viaggio i motori tornano a pieno regime e si va alla scoperta della conclamata psichedelia delle storie e dei paesaggi di Tom Robbins – l’autore più pericoloso d’America secondo la nostra Fernanda Pivano -, giungendo così sempre più vicini alla tormentata e straordinaria Seattle.
Ci sono viaggi che si fanno da soli, e poi ci sono tutti gli altri.
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Cenni sulle precedenti lezioni si trovano qui.
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