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Immagine del redattoreLa McMusa

Tirate fuori le tette! Playboy fa 60 anni

Gli anni Cinquanta negli Stati Uniti non furono esattamente un gran bel periodo. Nonostante il boom economico e l’euforia generale postbellica, lo sviluppo impazzito del capitalismo e il delinearsi poco spontaneo del modello famigliare marito moglie molti figli cane villetta con il giardino nei sobborghi barbecue la domenica ma costante rivalità con il vicino non erano brezze sociali del tutto rilassanti. Nessuno era libero di essere quello che voleva. La donna stava sotto l’uomo, l’uomo sotto un modello prestabilito, i figli se erano sani sfasciavano tutto, se non lo erano si drogavano, dei cani al momento ce ne possiamo fregare.

I vicini di certo eran guardoni.

Fu in questi anni, però, che nacquero alcune delle cose più belle che l’America consegnò – volente o nolente ma sempre generosamente – al mondo: nostro Signore il rock’n’roll, gli elettrodomestici, la colazione con il bacon e i pancake, la pittura di Pollock, alcuni bravi ragazzi un po’ suonati che battevano le strade del paese su e giù, giù e su fino a diventare dei miti generazionali, la tv e Playboy.


dicembre 1953 - numero 0 di Playboy

Primo numero: dicembre 1953. Marilyn Monroe – l’icona dell’epoca – vestita in copertina, dentro il giornale nuda. Il logo a forma di coniglietto ancora in incubatrice, pronto a fare la sua comparsa l’anno dopo. Hugh Hefner, il fondatore della rivista, di cui oggi a mente fredda si ricordano solo la Mansion dei festini proibiti in California e le vestaglie di seta amaranto, in quei giorni alle prese con la prima pietra del suo nuovo impero.

L’impero del sesso per i signori per bene.

Ora, uno dei post più gloriosi di questo blog, quello con James Franco vestito in copertina e dentro purtroppo non nudo ma solo sdraiato a baciare una bionda, cercava di legare insieme i lontani mondi della letteratura, la comunicazione, il sesso, la seduzione e il nutrimento intellettuale. Che l’impresa sia epica o terribilmente illusoria non sta a noi – purtroppo – deciderlo, c’è qualcuno che l’ha intrapresa ben sessant’anni fa e le cose di certo non gli sono andate male. Questo qualcuno è Mr. Hugh Hefner.


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In Hugh Hefner we trust.


Dopo essersi laureato in Psicologia a Chicago e dopo aver ricoperto vari ruoli nell’ambiente editoriale dell’Illinois, Hugh decise che voleva fondare una rivista tutta sua e che la voleva dedicare agli uomini come lui: amanti delle donne come tutti gli uomini dovrebbero essere, borghesi, colti e divertenti. All’inizio la volle chiamare Stag Party (come il nostro addio al celibato.. nella sua accezione più piana, ecco), ma le minacce di una rivista che già si chiamava così lo fecero desistere e ripiegare sul più malizioso ed elegante Playboy. Non aveva un soldo, la madre e il fratello lo aiutarono a mettere i primi 8 mila dollari di capitale, il primo numero vendette più di 50 mila copie.


Dal secondo numero in avanti Hugh fu abile a sfruttare il vento in poppa, soprattutto perché riuscì a maturare un’unica, grande e geniale idea, riuscì a dare forma alla sola sostanza del mondo umano che ci rende un po’ più interessanti delle tette in copertina pur senza svalutare la loro tellurica importanza, ma, anzi, facendo loro da complemento: la letteratura, la cultura, l’approfondimento intellettuale. Hugh unì l’eros alla ricerca estetica e ora chi ha il coraggio di affermare che questa – diciamolo pure – penetrazione non fu rivoluzionaria e degna di gratitudine universale esca subito dal mio spazio e si goda da solo le proprie prigioni mentali.

Le interviste di Playboy ai grandi della letteratura, del cinema, della politica, della musica e dell’economia sono entrate nella storia del giornalismo: da Martin Luther King a Vladimir Nabokov, da Bill Gates a Matt Groening, da Johnny Depp a Paul e Linda McCartney, da Oliver Stone a Fidel Castro, le interviste erano condotte da giornalisti per niente sprovveduti o aggentiliti dalla vicinanza della star di turno (o dei loro uffici stampa), e affondavano domande scomode, tiravano fuori argomenti riflessivi, pensosi, interessanti come interessante può essere lo specchio messo davanti al genio creativo del momento, interessanti tanto da scriverci articoli lunghi tantissime pagine. Articoli tanto interessanti da gareggiare con tette e sederi scodinzolanti.

Ma non solo.

Tra i suoi columnists c’era gente del calibro di Marshall McLuhan.

Ma non solo.

Tra i racconti che la redazione pubblicava su Playboy c’erano autori abituali con nomi importanti: Saul Bellow, Michael Chricton, John Cheever, Doris Lessing, John Updike e Kurt Vonnegut. Tra gli altri. Tra gli altri e dopo il primo, enorme scrittore che pubblicò sul secondo, terzo e quarto numero della rivista-coniglietto il più dirompente romanzo di rottura degli anni Cinquanta, Ray Bradbury con il suo celeberrimo Fahrenheit 451, diviso in tre puntate e messo a parlar di società distopica, censura e caccia alle streghe di fianco a lingerie pizzata e sorrisi maliziosi (qui un’intervista all’autore, in cui si racconta della genesi del suo grande romanzo).

Era un cerchio: nel pieno dell’era della conformazione americana una rivista anticonformista basata sul sesso e indirizzata a un pubblico maschile colto ospitava tra le sue pagine un romanzo potentissimo, che criticava proprio quella medesima era della conformazione e si faceva leggere dai soggetti che quella conformazione la stavano vivendo, subendo e perpetrando. Era un cerchio di virtù che passava (anche) attraverso l’eros e che si consolidò negli anni Sessanta e Settanta per poi iniziare un lento e inesorabile incespicare, che coincise con lo svalvolamento da party animal di Hugh, il cambio di timone in redazione, la moltiplicazione di tantissimi Playboy nazionali in giro per il mondo (anche in Italia) e la creazione dell’impero vero e proprio, fatto di merchandising vario, festini, eccessi e troppe bionde senza cervello.

Fino alla scorsa primavera, quando finalmente il coniglietto è tornato in forma e sono stati fatti tre grandi annunci.

Uno – A rincorrere il vento in poppa, appena finita l’università, tornerà uno Hefner, il figlio più piccolo di Hugh. Due – Dopo notizie bomba e smentite, conferme e riconferme, è ormai certo che sarà la diva dei nostri tempi, la nuova icona del presente, Kate Moss, a posare per la cover del numero dell’anniversario (in uscita tra dicembre e gennaio): nuda.


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La foto anticipatrice del servizio.


Tre – Il tempo del declino ora è maturo per tornare ad essere un tempo di ricrescita; arte, giornalismo ed eros sono di nuovo bisognosi di tornare a convivere. Ecco perché il team creativo di Playboy ha contattato quest’anno il cult-artist americano Richard Phillips e gli ha commissionato la rinascita intellettuale della rivista. Solo che non tra le sue pagine ma fuori, sulla strada. Phillips ha elaborato un’opera in due parti: la prima è un’installazione sulla Highway 90, vicino a Marfa (Texas), in cui una Dodge Charger, auto simbolo degli anni Settanta in cui la potenza del motore si unisce all’impeccabilità della prestazione (fate scattare dei doppi sensi, adesso, per favore), è in bilico su un altare gigante e semi-eretto (avanti con i doppi sensi, di nuovo, grazie), sovrastato a sua volta da un coniglietto di neon gigante, tipo simbolo di McDonald’s solo che sessuale, malizioso e biancorosa. Attorno, il vuoto del deserto.


Marfa Film Festival - Day 3

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L’installazione è stata tenuta qui per alcuni mesi, ora è in fase di smontaggio mentre si allestisce la seconda parte dell’opera alla fiera dell’arte Art Basel di Miami (5-8 dicembre 2013). Si dice che qui Phillips presenterà la stessa Dodge riconcettualizzata come simbolo di potenza maschile che dall’interno si riversa all’esterno.

Nella speranza che questo restyling del lato intellettuale e artistico della rivista, per l’ansia di fare bella figura nel mondo dell’arte, non diventi troppo criptico, incomprensibile, hipster – perché meno sexy dell’hipster è difficile proprio far venire alla mente qualcosa, qualsiasi cosa – ecco, in questa sacra aura di speranza, la coniglietta che è in ognuna di noi augura a Playboy tanti auguri, sessanta baci per quello che è stato e sessanta sculettate per quello che sarà.

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