Se c’è una cosa della cultura americana che mi piace, quella è la scrittura giornalistica. Dai reportage come se fossero viaggi pop alle riviste che uniscono letteratura ed erotismo, da McSweeney’s che a un certo punto si trasforma in scuole di scrittura sparse per il paese alle colonne del Time che mischiano realtà e finzione, la cosa bella quando si legge una rivista culturale americana è che molte delle nostre categorie giornalistiche italiane saltano.
Chi fa cultura se la ride | Non è sempre serioso.
Chi fa cultura fa (ancora) avanguardia | Non è intellettualmente povero.
Chi della cultura è artefice è preparato ma informale | Si parla al lettore per informarlo, sì, ma anche intrattenerlo, perché la cultura è piacere.
Chi della cultura più sofisticata è araldo non può che continuare ad esserlo diventando sempre più pop | Si mettono in comunicazione alto basso e medio, mondi opposti, approcci trasversali.
Ed ecco che lo scorso lunedì arriva una notiziona dal “New Yorker”, in effetti la più sofisticata rivista culturale americana dal 1925: per tutta l’estate, per un tempo indefinito che valicherà l’autunno, tutti i contenuti attuali saranno free, così come lo saranno tutti i contenuti pubblicati online a partire dal 2007 nonché una selezione (a cura dello staff editoriale) dei precedenti.
Questa è una notiziona per diversi motivi:
il più ovvio > molti articoli, racconti, rubriche e saggi erano finora riservati agli abbonati e vigeva il principio: no money, no pleasure;
il più lungimirante > chi assaggia oggi ed è contento, domani compra;
il più strategico > in tempi di restyling paga di più la visibilità indiscriminata che la selezione.
A una manciata di mesi dal suo novantesimo anniversario, in occasione di alcuni cambiamenti di design e responsiveness (la possibilità di adattare i contenuti della rivista a tablet, smartphone e desktop vari) del sito, infatti, il “New Yorker” si mette in mostra senza filtri e sceglie di offrirsi democraticamente a tutti in attesa di richiudere di nuovo, con l’arrivo del freddo, le proprie porte virtuali a chi non è abbonato. Indicativo il fatto che in inglese esista un termine per quell’odiosa finestrella del pc che blocca l’accesso agli articoli e aspetta imperterrita il numero della tua carta di credito, che è paywall: il muro del denaro, uno dei nostri più contemporanei, temuti e presenti muri del pianto.
Prima di sbatterci di nuovo la testa contro, dunque, ho pensato di mettere nero su bianco una guida all’uso di questo tempo breve e dorato, in cui possiamo permetterci di sognare, leggere e ingozzarci di contenuti succulenti. Volevo farlo in maniera personale, su una pagina vera di un block notes vero, ma poi mi sono detta: e se a qualcun altro, giunta la notiziona, fosse girata la testa come a me e fosse ora in cerca di un compagno di overdose prima che sia tutto finito?
Bene, allora eccomi qui con qualche semplice e spero utile consiglio, ferma e sorridente sulla soglia di una porta finalmente spalancata.
Per prima cosa, riabituare la mente alla lettura lunga. Questa non è certo una cosa che si può fare solo ad archivio aperto, ovviamente, ma è un fatto su cui vorrei tenere desta l’attenzione. A chi scrive sul web (blogger compresi) si raccomanda sempre di essere brevi perché l’attenzione del lettore 2.0 è labile; e però la più importante rivista americana (cartacea e) del web su questo argomento si esprime in direzione completamente opposta: pubblica articoli, saggi e racconti che si sfogliano e sfogliano e sfogliano lungamente. Interminabilmente. Fregandosene di tutto e tutti tranne un clic sul tastino “next page” che presto diventano due, poi tre, poi quattro…
Ogni lunedì andare nella sezione Archive del sito e scoprire qual è la mini-antologia di vecchi articoli che lo staff ha scelto per noi. Faranno così, infatti: ogni settimana una collezione diversa di articoli famosi e belli o non famosi e ugualmente belli + una collezione di fiction dal 1925 a oggi, entrambe raccolte sotto un unico tema. Si è deciso di iniziare con i Profiles, “the magazine’s quintessential form”, e con le Love Stories (tra cui si trovano, al momento, racconti di George Saunders, Alice Munro, Joshua Ferris, Junot Díaz, Roberto Bolaño e ora lo so che vi state sentendo male quanto me..).
Sempre nella sezione Archive scorrere un po’ più in basso, dopo l’elenco degli articoli in collezione, e sfogliare i numeri scegliendoli in base alla copertina. Non per forza leggerli, semplicemente sfogliarli, magari selezionando la settimana del vostro trentesimo compleanno (come ho fatto io scegliendo l’immagine di anteprima di questo post, la vedete in home page) oppure una data che vi sta particolarmente a cuore dal 2007 a oggi. Come infatti saprete, buona parte del prestigio del “New Yorker” è dovuto alle sue cover e stare a fissarle cercando rimandi e corrispondenze tra disegno e contenuti o tra disegno e attualità non può che essere un esercizio divertente. Ed estivo.
Leggere, magari proprio dal numero sul quale siamo finiti a caso sfogliando le cover, un articolo della rubrica Shouts and Murmurs, giusto per capire cos’è l’ironia, qual è il costume, come si fa il gossip intellettuale.
Da qui, passare direttamente ai Cartoons, altro pezzo forte e storico della rivista, che sta nella stessa categoria della rubrica precedente, Humor, e che insieme agli articoli della schermata costituisce la parte pop del giornale. Quella più leggera e d’intrattenimento, quella che dovrebbe far ridere ma che, diciamolo francamente, nei suoi tratti di disegno non è proprio immediata, anzi spesso lascia un po’ “gnecchi”. Sarà forse colpa della lingua o della differenza culturale, sarà un mio problema – personale e costante – con le vignette, fatto sta che si potrebbe usare il tempo estivo per venire a patti con loro e permettersi un giorno di dire: “I got it!” (ogni tanto qualcuna la capisco, eh..).
In ultimo, tenere d’occhio qualche sito culturale americano che può permetterci di uscire dall’ansia dell’overdose da archivio libero selezionando per noi alcuni articoli meritevoli (2007-2014): qui ci sono i consigli di “BuzzFeed”, per esempio, e qui quelli di “Longform”. So che avreste voluto che gli articoli li selezionassi io per voi, senza rimandarvi a terzi, ma perdonate il mio procedere già piuttosto vacanziero, ci sono momenti in cui più che musa mi sento fusa.
Come se il “New Yorker” fosse il mare e come in ogni avventura degna di questo nome, tutte le guide si rivelano incomplete nell’istante stesso in cui si prende il largo. Quindi fate di questi consigli l’uso che volete, siate personali e, in attesa della fredda finestra di pagamento dell’inverno, buona navigazione!
コメント