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Il meglio di stagione: gli articoli americani dell'autunno 2019

Con l'inaugurazione del nuovo sito, la prima cosa che cambia nei contenuti del blog è la cadenza delle rassegne. Ho deciso - anche grazie ai consigli ricevuti da voi negli scorsi mesi - di prediligere la qualità sulla quantità: da oggi la rassegna degli articoli americani uscirà una volta ogni stagione (quindi quattro volte all'anno) e raccoglierà il meglio di quanto avrò letto in quella stagione. Il meglio secondo me, chiaramente, ma il meglio anche per voi: mi piace pensare di riuscire a offrirvi un ampio ventaglio di approfondimenti d'attualità e d'indubbia utilità per capire sia gli Stati Uniti sia la loro cultura.


Non si poteva iniziare sottotono, dunque: la rassegna autunnale ospita oggi alcuni giganti. Scrittori, temi, problemi di un'America che non smette mai di lasciarci con il naso all'insù.


Foto di Kyle Johnston
  • Cominciamo con i giganti della letteratura allora! Giganti tra cui Joan Didion detiene da anni un posto speciale, in virtù di un merito altrettanto speciale che va al di là della sua incredibile arte scrittoria: aver saputo raccontare le donne senza mai aderire ad alcuna ideologia. E averne tracciato, così, alcuni dei profili migliori. Questo articolo, ad esempio, racconta i primi tre.

  • Quando si tratta di giganti uomini, chissà perché, la faccenda si fa più complicata. La rivalità tra David Foster Wallace e Bret Easton Ellis è stata molto dibattuta nell'ultimo decennio, tanto dibattuta che io ho sempre avuto il sospetto che fosse una cosa più montata che reale. Questo articolo mi ha piacevolmente sorpresa: senza mettersi in difesa di uno dei due e senza compiacersi del proprio ruolo intellettuale, l'autore mette in luce alcuni aspetti dell'opera dei due scrittori e chiaramente della loro persona.

  • Non c'è bisogno di mettere in luce niente quando si tratta di Cormac McCarthy: tutto è già svelato nella sua parola, nei suoi libri. In particolare, è la Trilogia della frontiera a proporsi come uno dei più riusciti e universali componimenti esistenzialisti della nostra epoca. A raccontarlo è la scrittrice Rachel Kushner.

  • Un'altra donna, un'altra scrittrice prende su di sé l'onere (e l'onore, certamente) di raccontare il rapporto tra due giganti della cultura americana: lei è Joyce Johnson e loro sono Jack Kerouac e Robert Frank. I romanzi del primo e le fotografie del secondo avrebbero cambiato completamente la narrazione dell'America negli anni Cinquanta e Joyce ce lo racconta un attimo prima che questo accada, permeando l'intimità dell'incontro tra i due delle tinte chiaroscure di una strepitosa (e ormai perduta) di New York.

  • Se Jack e Frank furono i giganti degli anni Cinquanta, quelli del nostro decennio sembrano essere stati ben altri. Nel 2015 The New York Times ha individuato 6 Greats, intervistati da altrettanti grandi (tra cui Ellis e Kushner, che abbiamo già incontrato precedentemente). Oltre ad essere un interessante termometro del nostro tempo, questo è davvero un bel pezzo di giornalismo, attuale anche adesso che il nostro decennio sta volgendo al termine.

  • Continueranno ancora nel prossimo le patetiche spacconerie (per essere eleganti) di certi uomini che si vantano con le donne per aver letto Infinite Jest? Non è una cosa che tira così tanto, ve lo possiamo assicurare sia io che l'autrice di questo pezzo (che, in ogni caso, argomenta la sua tesi con affermazioni altrettanto discutibili).

  • Quello che speriamo continui e, anzi, aumenti è il potere della black music: il suo ruolo di protesta contro il razzismo e la violenza non è stato scalfito in questo decennio, anche se a portarlo avanti sono stati artisti sulla carta molto privilegiati come Beyoncé, Kanye West, Solange e altri. Lo si argomenta bene qui.

  • E qui, invece, si mostrano alcuni dei luoghi dove quella black music è nata, alcuni luoghi dove quella black music ancora si fa e si vive quotidianamente: una lunga striscia del fiume Mississippi.

  • Probabilmente si fa musica anche in questi posti, eppure il motivo per cui mi hanno colpito non è legato alla creatività bensì a quel tipico sentimento della provincia americana che rende tutto lento, marginale e persino immobile. Un sentimento che a me prende proprio il cuore.

  • Non credo che queste persone condividano con me il tenore del mio sentimento: il fatto di vivere ai margini della società americana, in luoghi che spesso combaciano con quelli dove si esprime al meglio la black music (il South), non ha certo favorito l'affermazione della propria identità sessuale e di genere. Eppure, le storie di queste persone hanno quella scintilla tipicamente americana (il crederci sempre, la fede nel futuro, lo spirito di comunità) che riesce a rimanere viva anche quando la situazione si fa più disperata. O, semplicemente, si invecchia.

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