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Cinque motivi per tornare a Pian della Tortilla con John Steinbeck

Qualche giorno fa lamentavo indecisione: era la mezza, nella notte, e io tentennavo davanti alla libreria prendendo e lasciando storie che parevano tutte inutili e noiose. Prendendo e lasciando libri che leggevo per una dozzina di frasi, a volte solo l’incipit, e poi riponevo al proprio posto con mollezza. Troppo drammatico, troppo complicato, troppo urbano, troppo troppo. Dopo aver trascorso così, in questa indecisione, una buona mezz’ora, ho ricordato di avere una risorsa nascosta poco lontano: una piccola scatola da trasloco, avanzata proprio dal recente trasloco, in cui sostavano ormai da mesi alcune vecchie edizioni in attesa di essere sistemate nel loro speciale scaffale bianco da muro che ovviamente ancora non ho appeso e chissà quando lo farò.

John Steinbeck, Ernest Hemingway, Erskine Caldwell.


John Steinbeck.


Stavano a terra in una scatola invece che in alto sulla parete delle vecchie glorie. A volte succede. Che i nuovi amori scalzano i vecchi ma che poi i vecchi si mettono a gridare di potenza anche dal fondo dell’oblio e tu sai che arrenderti a loro è la più giusta delle cose da fare.

E allora eccomi lì, quella notte verso l’una, a riaprire con calore uno dei capolavori della letteratura americana:

anno: 1935; autore: John Steinbeck (premio Nobel 1962); titolo: Pian della Tortilla.

Non sarà oggi mio compito raccontarvi o analizzare nel dettaglio la trama di questo romanzo, quanto piuttosto offrirvi un’utile e breve guida a come uscire dalla crisi da indecisione che può attanagliare il migliore dei lettori in qualsiasi momento.

Due premesse:

  1. sto assumendo qui e ora che la crisi spesso si risolve con un classico;

  2. fare la recensione di un classico davvero non si può: ad esso (e iniziamo così con gli arcaismi) ci possiamo solo avvicinare seguendo le tracce di quel che ha lasciato negli anni. Per esempio, questa edizione italiana datata 1966.


Che nella quarta di copertina scrive così: Nella esuberante fioritura della narrativa americana fra le due guerre, Pian della Tortilla si impose, fin dal suo primo apparire, tra le opere più fresche e originali, immagine lirica e picaresca di un mondo umilissimo contemplato dagli occhi di un uomo profondamente democratico. […] Pian della Tortilla è il quartiere dei diseredati di Monterey, vecchia città marinara della California. Ci vivono i paisanos, miserabili vagabondi mezzi indios, tutti più o meno imparentati fra loro, che campano alla giornata cercando di rimediare un dollaro o qualche oggetto da barattare con un gallone di vino cattivo. Come Danny, il protagonista di questa storia comica, mesta e spensierata, che trasforma la sua casa nella sede felice della comunità di tutti i suoi amici, la comunità di poveri diavoli più dolce e gentile che sia mai esistita.

Se questo blog fosse di carta, cari miei fedeli lettori, insieme alle Figurine che sin dall’inizio dei loro giorni sono nate con l’idea che si potessero concretamente staccare e attaccare in giro per la vostra vita reale (un giorno accadrà, ne sono certa), adesso qui ci sarebbe un vademecum per amanti dei libri, da tenere sempre in tasca per i momenti di bisogno previo taglio lungo i trattini, sotto una scritta che suona più o meno così:

CRISI DEL LETTORE? CINQUE MOTIVI PER TORNARE A PIAN DELLA TORTILLA CON JOHN STEINBECK

  1. L’atmosfera delle descrizioni piene, sospese e inconfondibilmente retoriche perché arrivano da molto tempo fa. In altre parole, la presenza di passaggi come questo: Imbruniva, era l’ora dolce in cui la sonnolenza del giorno è già finita, e la sera di piacevole conversazione non è cominciata ancora. I pini si alzavano neri contro il cielo, e ogni cosa appariva oscurata sulla terra; ma l’aere splendeva di mesto splendore come la memoria. I gabbiani volavano di ritorno ai nidi loro sulle scogliere dopo la visita quotidiana agli stabilimenti di pesce in scatola pei quali è ricca Monterey.

  2. Subito dopo, a continuare proprio queste descrizioni, la presenza di personaggi tondi, ancora indifesi di fronte alla crisi

dell’io, puri nel loro saper riconoscere la purezza, birboni e ormai vivi, per noi contemporanei, solo nelle foto dei nonni: Pilon amava la bellezza. Levò la faccia al cielo, e l’anima gli uscì dal petto a perdersi nella luce del sole appena tramontato. Il non troppo perfetto Pilon, pasticcione, beone, attaccabrighe e bestemmiatore, continuava lentamente il suo cammino su per il colle ma un altro Pilon, spirituale, e alato, andò coi gabbiani e si inebriò di spazio. Bello era questo Pilon, senza macchia di egoismo e avidità nei suoi pensieri.

  1. La traduzione di Elio Vittorini, che sull’americano misto messicano ci innesta anche il fiorentino e che da tanti, tantissimi, è stata bistrattata e accusata di vecchiume. Se il vostro desiderio di classico è ben radicato, le sue scelte lessicali, il ritmo arcaico, la predilezione per il gergo bischero, le parole con le doppie che oggi non si usano più e, in generale, il suo intervento evidente sulla lingua non potranno che diventare una lettura nella lettura, nonché la testimonianza di un grande momento storico, quello in cui per la prima volta la letteratura americana entra in Italia. Con un sapore di realismo magico che suona ancora oggi, nell’ideologia sottesa e nella forma esplicita, sintomo di una vera e propria rivoluzione letteraria.

  2. La geografia di un paese lontano e sconosciuto, che sta in uno degli Stati americani più americani, la California, ma ha un nome spagnolo, Pian della Tortilla, e una popolazione che nessuno conosce. La letteratura americana, da sempre e soprattutto all’inizio, fa sue le voci di genti, classi sociali e luoghi che spesso dovrebbero – secondo canone – tacere, mettendo al primo posto elementi strutturali come la strada, la locanda, il porto, il bosco, il meticcio, le stanze di donne che vivono da sole, la cella, il pavimento, il mondo all’altezza di un gruppo di cani randagi.

  3. Il vacuum narrativo, ovvero l’assenza di un’ossessiva ricerca di trama a favore, invece, dell’inseguimento – certo pigro e ozioso come i personaggi – di piccole azioni, dettagli, avvenimenti più che eventi, significati oltre le immagini. C’è una triade di aggettivi nella quarta di copertina, proprio in chiusura, che è meravigliosamente inattuale: questa storia è comica (porta al sorriso), mesta (senza bisogno di grandi effetti speciali) e spensierata (in nome di un vacuum, appunto, che tiene fuori da sé il complesso e si traduce in recupero del primum, della cosa originale).

Se la crisi adesso è passata, buona lettura.

Se non lo è, allora chiudete gli occhi, fate due o tre giri su voi stessi e poi puntate il dito a caso sulla mappa. Vi aiuterà lei a decidere.


SteinbeckCountryMap

La mappa dei luoghi californiani di Steinbeck. Pian della Tortilla è a Monterey.


 

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