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Uno di noi: Larry Watson

Originario del North Dakota, professore all'Università del Wisconsin, amante del Montana: Larry Watson è uno scrittore che arriva dagli spazi sconfinati del North, dove le pianure sono immense, fredde, ventose. E dove le montagne - sopra di loro - sono ampie, profonde, insidiose. Soprattutto se all'insidia della wilderness si aggiunge quella dell'uomo.

È in questa natura ancora selvaggia che Larry Watson ambienta i suoi romanzi. Sicuramente quelli che sono usciti negli ultimi due anni per Mattioli 1885 (e quindi il pubblico italiano): Montana 1948 e Uno di noi. Se il primo, uscito nel 2020, mi aveva affascinato per la sua ambientazione raccolta ma anche dura e colpevole, il secondo - uscito a un anno di distanza - mi ha colpita perché il paesaggio coriaceo accoglie una storia apparentemente altrettanto coriacea ma, nel cuore, piuttosto fragile. A fare da controcanto alla narrazione letteraria, abbiamo la fortuna di poter assistere in questi giorni anche a quella cinematografica: Uno di noi è diventato un film interpretato da Kevin Costner (ultimamente una specie di alfiere del Montana) e Diane Lane.


Il titolo, uguale per l'edizione italiana tanto del libro quanto del film, fa riferimento al nipote della coppia Blackledge, un bambino di tre anni che i due vogliono riprendersi. Dopo la morte del loro figlio, infatti, la vedova nonché madre del piccolo, Lorna, si è allontanata dai due e si è avvicinata a una famiglia violenta e gretta che non ne vuole sapere di condividere la custodia del bambino. George e Margaret, non più giovani ma mossi da una determinazione che non conosce età, si avventurano così tra le strade remote del Montana e del South Dakota, pronti ad affrontare tanto le asperità del viaggio quanto la violenza del clan dei Weboy. Intorno a loro, un'America che entra silenziosamente negli anni Cinquanta: dall'arredamento delle case all'abbigliamento western, dai diner ai negozi di paese, questo è anche un viaggio a ritroso nel tempo e nelle icone intramontabili degli Stati Uniti.


Affascinata da queste ambientazioni e dalla sua scrittura, ho intervistato l'autore.


  • Qual è il ruolo della natura nella storia? Grandi distanze, le Badlands, la strada per il Montana e le vaste pianure al suo interno: esiste una geografia specifica per la violenza?

Scrivo spesso delle pianure settentrionali, in particolare del North Dakota e del Montana. Il tempo in quegli stati può essere punitivo - bufere di neve e freddo estremo in inverno, caldo e temporali in estate, siccità possibile in qualsiasi momento - e le persone che ci vivono devono essere preparate ad affrontare le sfide del clima. È un territorio scarsamente popolato e le distanze tra i comuni possono causare sentimenti di isolamento. Quelle distanze possono anche favorire due atteggiamenti contrapposti: siccome sono lontano dai centri di amministrazione e aggregazione, per la sopravvivenza e il sostentamento posso fare affidamento solo su me stesso. Oppure, siccome siamo così pochi qui, dobbiamo imparare a fare affidamento l'uno sull'altro per aiutarci e supportarci a vicenda. Entrambi gli atteggiamenti fanno parte della visione che l'America ha di se stessa e del suo spirito nazionale.

Mentre credo che alcune regioni, condizioni e persino tradizioni abbiano maggiori probabilità di incoraggiare la violenza, mi sembra che la vera geografia della violenza sia nei cuori e nelle menti degli uomini. La violenza può verificarsi nei deserti remoti così come nelle aree urbane più dense; può esplodere ovunque si riuniscano due o più esseri umani.

  • Possiamo definire Uno di noi un romanzo d'amore?

È una storia d'amore, assolutamente. E sono felice quando i lettori riconoscono questo aspetto del romanzo.

  • Dove trova ispirazione normalmente? Qual è la sua giornata tipo quando scrive?

Se esiste qualcosa come l'ispirazione, è probabile che la trovi nel lavoro stesso. Credo che le storie cerchino di dirci come vogliono essere raccontate e dove vogliono andare; abbiamo solo bisogno di essere aperti e attenti durante l'atto di scrivere per cogliere quei suggerimenti e seguirli. Non ho una routine fissa o rituali che devo seguire. Posso scrivere ovunque e in qualsiasi momento. Ma mi assicuro di scrivere ogni giorno senza fallo. Non insegno più, quindi il mio programma è più aperto rispetto a quando avevo lezioni e studenti. Scrivo raramente la sera. È più probabile che scrivo in tarda mattinata o nel pomeriggio. Sono uno scrittore lento e cerco di scrivere bene ogni frase prima di passare a quella successiva.

  • Uno dei protagonisti del romanzo è un ragazzo nativo americano: lei vive vicino a riserve indiane o comunità di nativi americani? Qual è il suo rapporto come cittadino americano e come autore con la loro eredità culturale?

Sono cresciuto in North Dakota, uno stato che aveva, e ha, una significativa popolazione nativa, sia dentro che fuori le riserve. Ho cercato di conoscere la storia e le culture delle tribù della regione e nella mia narrativa ho cercato di includere personaggi nativi e di scrivere di loro in modo onesto, realistico e senza condiscendenza. Spero di esserci riuscito.

  • Ha visto il film? Le è piaciuto?

Sì, l'ho visto e penso che sia fantastico! (E non lo dico solo perché io e mia moglie appariamo brevemente in una scena.)


In effetti - e qui riprendo io la parola - il film raggiunge un risultato davvero encomiabile: riesce a tratteggiare gli ambienti e le atmosfere molto similmente al libro, premendo poco sull'acceleratore dell'azione e indugiando invece molto sui colori, le ombre, i sensi di una natura magistrale ma poco amica. E, ovviamente, il rapporto tra i due nonni, una donna e un uomo ancora capaci di grandi ostinazioni, grandi affetti e grandi cavalcate.


Larry Watson, Uno di noi, Mattioli 1885, traduzione di Nicola Manuppelli.







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