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Dieci dicembre, il parco giochi di George Saunders dimenticato su Saturno

Esiste una cosa sui libri che si chiama blurb. Come uno slogan invitante emesso da un’autorevole testata giornalistica o da qualche insigne scrittore o personaggio famoso, il blurb è una breve frase ad effetto che si sbatte in copertina o sulla quarta di un libro al fine di attestare la meravigliosità, l’imperdibilità dello stesso senza che sia la casa editrice a dirlo, ma qualcun altro di davvero importante. In una parola, il blurb è una trovata di marketing che gioca di luce riflessa e fa sentire te, lettore, sull’orlo di un peccato mortale, di un piacere estremo non afferrato se intravedi almeno una di quelle frasi e non compri il libro.

Sull’ultima raccolta di racconti di George Saunders, Dieci dicembre, c’è un blurb pazzesco: “Il miglior libro che leggerete quest’anno”. Lo dice il New York Times Magazine. “Sovversivo, spassoso ed emotivamente penetrante” lo dice invece Jennifer Egan, premio Pulitzer per la narrativa nel 2011, autrice di un romanzo molto amato in Italia e negli Stati Uniti, Il tempo è un bastardo. Poi ancora, sull’edizione originale americana e in giro sui vari articoli di giornale statunitensi, altre insegne al neon, dello stesso calibro, illuminano la promozione di questo libro, insegne al neon firmate da gente come Thomas Pynchon, Jonathan Franzen, Zadie Smith e Michiko Kakutani del New York Times.

“Not since Twain has America produced a satirist this funny.”—Zadie Smith “George Saunders makes the all-but-impossible look effortless. We’re lucky to have him.”—Jonathan Franzen “An astoundingly tuned voice—graceful, dark, authentic, and funny—telling just the kinds of stories we need to get us through these times.”—Thomas Pynchon “Saunders’s satiric vision of America is dark and demented; it’s also ferocious and funny.”—Michiko Kakutani, The New York Times

Ora, io mi chiedo se queste illuminate persone questo libro l’hanno letto oppure no. E se l’hanno letto, vorrei veder apparire chiare, magari in nota ai loro blurb, le loro definizioni di spassosofunny e di satirist/satiric.

Non voglio fare la solita. Ma.

A me pare di non aver mai letto nulla di più lontano dal divertente e dal satirico di questo libro.


Dieci dicembre è il diamante più luminoso e tagliente che io abbia mai incontrato sulla mia strada, il crudele sogno di cristallo infrangibile che non ho ancora mai fatto, è la gelida radice sotterranea della mia inquietudine, che se la lascio andare ancora un po’ più a fondo senza avere il coraggio di estirparla sarò annientata nel giro di un paio di settimane.

Dieci dicembre è illusorio, periferico, obliquo, lucido e disagevole. Come un parco giochi dimenticato su Saturno, ogni racconto mette in moto una giostra e annienta – illudendoci – l’equilibrio della nostra inconsapevolezza.

La raccolta è composta da dieci racconti, di lunghezza, stile e tema diversi. Ognuno di questi è stato pubblicato da una rivista americana negli anni passati: George Saunders fa così, scrive per il New Yorker o il New York Times e poi, periodicamente, raccoglie questi racconti e li riunisce in un libro pieno di senso. Non ha mai pubblicato un romanzo, scrive ovviamente anche saggi e reportage e uno dei suoi racconti più lunghi è Pastoralia, circa 80 pagine. Nato in Texas ma cresciuto in una delle grandi e anonime periferie di Chicago, la Saundersland o Chicagoland o Georgeland è la terra ripetitiva, leggermente distopica e potentemente inquietante che l’autore ha costruito sulla falsa riga di quella reale per ambientare la maggior parte delle sue storie.

Tra cui c’è Le ragazze Semplica, uno dei racconti più belli di Dieci dicembre, che all’allucinazione tutta provinciale del voler emulare il vicino e dimostrargli di non essere da meno, alla grettezza lacrimevole di una vincita alla lotteria di medio-bassa portata, alla pochezza della giustizia che al posto dell’anima ha sempre e solo il protocollo, a tutto questo Saunders unisce la sospensione, il volo basso e impigliato dei sentimenti umani, di un padre che vuole far felice la figlia, della figlia che vuole riscattare degli esseri viventi, degli esseri viventi che sono costretti alla fuga via terra perché la dimensione del volo libero per loro non può esistere. Dopo aver letto questa storia – costruita stilisticamente sotto forma di diario del padre di famiglia, costruita lessicalmente sul participio passato, costruita figurativamente in un sobborgo e temporalmente in un futuro prossimo o in un presente altro – mi sono chiesta se io avessi mai letto dei racconti fino a quel momento. Ovviamente sì, ma lo shock è stato enorme. (Per chi non resiste > qui c’è la versione originale e free del racconto e qui un’intervista a proposito del racconto stesso.)


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L’illustrazione di Martin Ansin del racconto sul New Yorker.


Lo shock c’è stato anche per i primi tre racconti della raccolta, Il giro della vittoria, Croci e Il cagnolino. Protagoniste ancora le tipiche case di provincia, con dentro bambini e famiglie che come immaginario e playground della loro anima hanno sempre e solo la provincia, queste tre storie, lette una dopo l’altra, sono state una colata di paralisi progressiva e inarrestabile. Saunders ci mette in giostra, inizia a farci girare bene, tranquilli e un po’ ingenui, finché qualche meccanismo nascosto non fa cric e noi si inizia a percepire mancanza d’aria, disagio, la giostra gira ancora ma noi siamo su Saturno – appunto – e tutto quello che conosciamo di rassicurante e famigliare è improvvisamente sparito, morto, lontano, annientato. Si sente freddo, intorno è tutto azzurro ghiaccio e il cielo è di sapone (mi perdoni David Foster Wallace, era suo il cielo di sapone, ma guarda a caso i due scrittori che per tanti versi sono stati accomunati durante le loro carriere letterarie trovano anche in me un punto di contatto).

La raccolta, infine, ospita ancora sei racconti tra cui noto: Fuga dall’Aracnotesta, la storia d’impronta orwelliana della manipolazione chimica dei sentimenti e degli impulsi umani; Esortazione, un brano che era già comparso nella raccolta di minimum fax The Best of McSweeney’s insieme ad altri tre ritratti della follia maniaco-compulsiva del nostro mondo lavorativo e del progresso; e infine Dieci dicembre, la storia che dà titolo alla raccolta, che ha fatto piangere tanti lettori ma che a me ha destato enorme nervosismo perché uno dei protagonisti non riesce a dire “merda” e al suo posto dice “Marta”, il mio nome.


Anche se questa storia, come altre, si trova online ed è free (grazie a questo articolo di Open Culture potete recuperare sul web sia questo che altri racconti di Saunders e vederlo anche in faccia), lasciate che l’intero libro abiti la vostra libreria, perché, come una parete orizzontale di ghiaccio che sembra salda e sicura, arriva sempre il momento in cui la realtà va bucata, in cui ha senso lasciarsi penetrare dal gelo e aspettare dall’alto una mano che ci salvi. Questa mano ha un tocco nuovo, uno stile superbo e uno schiaffo sotto la manica.

Non cercate di proteggervi.

Buona lettura.

 

George Saunders, Dieci dicembre, minimum fax 2013, pp. 222

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