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Gli articoli americani di gennaio 2019

Nell’agenda che ho scelto per il 2019 c’è una casella doppia che, ogni mese, ti obbliga a individuare due focus su cui concentrare la tua attenzione: uno per il lavoro e uno per la vita personale. Per la mia vita personale di gennaio ho individuato e scritto la parola CORPO. Che per me ha voluto dire tante cose: la salute (che viene sempre prima di tutto), la palestra, la presenza, l’interazione con gli altri, la protezione.

Credo che molte delle letture di gennaio ne abbiano risentito. Molte, ma non tutte 😉

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Foto di Joshua Coleman


  1. Che relazione c’è tra la fiaba, il porno e le serie tv di oggi? Come si racconta il corpo delle donne in ognuna di queste tre narrazioni? La questione è apertissima, sta cambiando a grande velocità (per fortuna) e tuttavia questo articolo riesce a catturare l’istante presente e a dargli grande profondità: del resto, ci hanno insegnato che Cappuccetto Rosso finisce sempre allo stesso modo ma mica ci crediamo per davvero, no?

  2. Confesso che ho trovato difficile credere anche a questa storia: essere una donna in America e cercare di non subire violenze quotidianamente. Nella mia esperienza di viaggi e lunghi soggiorni negli States ho sempre avuto la sensazione di essere più al sicuro lì rispetto all’Italia. Eppure alcune strategie di difesa (scegliere le strade in cui passare, far finta di telefonare a qualcuno, non alzare lo sguardo…) sembrano essere tristemente universali.

  3. La verità è che poi, in assenza di qualsiasi aspetto di violenza, i nostri difetti e la nostra vulnerabilità sono, agli occhi degli altri, molto più attraenti di quanto siamo disposti a credere. In questo caso lo dice una mostra.

  4. Quando il nostro corpo, però, ha un colore diverso dal bianco il modo di raccontarlo deve fronteggiare le forme (e purtroppo negli Stati Uniti sono molte e molteplici) che lo discriminano: in un mondo che è diventato assurdo nasce l’Afrosurrealismo. Le sue narrazioni migliori sembrano essere – ma forse non è una sorpresa – le serie tv, il rap e Netflix.

  5. L’apparenza dovrebbe essere sempre la cosa che conta meno ma questo vale anche per le copertine dei libri? Forse no. Qui Stati Uniti e Regno Unito si fronteggiano senza esclusione di colpi e – confessiamolo – è un vero piacere per gli occhi!

  6. Di tutt’altra tempra è la relazione che invece gli Stati Uniti stanno intrattenendo con i richiedenti asilo e gli emigranti al confine con il Messico. Dopo l’atroce politica di separazione delle famiglie attuata da Trump nei primi mesi del 2018, diversi giornalisti, artisti e volontari hanno messo la propria persona al servizio di una nuova, vecchia storia da raccontare: chi sono i migranti? Cosa affrontano al confine? Cosa sognano scappando dalle loro case? Il progetto del filmaker Jordi Ruiz Cirera fa rispondere i bambini. E no, non è per niente strappalacrime. È realtà.

  7. Questa invece è fiction, ma una fiction molto utile per rispondere alle stesse domande e, se possibile, ampliare attraverso le parole il senso di quella linea immaginaria che chiamiamo confine: 7 libri che raccontano persone e luoghi tra Stati Uniti e Messico.

  8. In termini di comprensione del mondo la narrativa ha un potere enorme. Ma non solo a livello di temi, anche grazie al modo in cui viene composta e al grado di difficoltà che ci obbliga a fronteggiare. Lo dice George Saunders in un articolo che ho trovato illuminante. Per questa sua riflessione di mestiere di scrittore, ma anche per la prospettiva politica che augura al suo paese.

  9. Per se stessa, invece, la scrittrice Jami Attenberg ha scelto un futuro insolito: trasferirsi dalla grande e roboante New York alla piccola e rassicurante New Orleans all’età di 42 anni. Perché l’ha fatto? Per un desiderio di presenza: talvolta è necessario portare il proprio corpo là dove può essere notato. Là dove è più facile interagire con gli altri, chiacchierare, incontrarsi, ballare, stare insieme. In una parola, uscire dall’anonimato.

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