Mi trovo nella biblioteca pubblica di Venice, California. Nelle ultime settimane le biblioteche pubbliche di Los Angeles sono diventate il mio ufficio. Ne frequento molte, quasi sempre diverse: è un buon modo per lavorare e intanto conoscere e vivere questa enorme e tentacolare città.
Oggi quindi sono a Venice, uno dei luoghi più iconici dell’intera Southern California nonché uno dei posti che storicamente è casa di chi non ha casa. Gli homeless di Venice sono sempre stati famosi: una volta perché erano vecchi hippy che non volevano arrendersi al fatto che il Sessantotto fosse finito e sceglievano di vivere su una delle spiagge più temperate e spettacolari del mondo; oggi perché a loro se ne sono aggiunti moltissimi altri, decisamente meno hippy, e a quella visione romantica e un po’ romanzata se ne è sostituita una molto più realistica, specchio di un problema che sta affliggendo tutte le principali città della West Coast. Un problema che pressapoco si riassume così: a un progresso feroce e veloce dovuto alle nuove economie digitali e tecnologiche corrisponde un innalzamento del costo della vita che molte persone non sono in grado di sostenere. Spesso la prima cosa a cui queste si trovano costrette a rinunciare è proprio la casa.
Ma, per fortuna, non la biblioteca: intorno a me ci sono molti homeless che leggono, restano informati sull’andamento del mondo dai computer, guardano dvd, alcuni dormono e russano, altri semplicemente stanno. C’è una guardia che ogni tanto li sollecita a parlare piano o a svegliarsi, ma nessuno si comporta in modo inappropriato, né la guardia né loro. Stiamo insieme in uno dei rari spazi pubblici d’America dove tutti sono i benvenuti e dove si può ancora sperare in una storia a lieto fine. Basta azzeccare lo scaffale giusto 😉
Oggi vi presento storie così, che hanno a che fare con il lieto fine e l’essere accolti, con la paura di non esserlo e con l’assenza di un centro. Al solito, alcuni sono più leggeri, altri decisamente no. Se ne volete leggere solo uno non ho dubbi: l’ultimo.
E infatti comincio da uno dei più impegnativi. Non tanto per il tema ma soprattutto per la sua lunghezza e complessità: è un reportage narrativo che conta diversi (una dozzina escluso il narratore) personaggi reali di Venice, messi in moto dall’omicidio di un senzatetto. C’è la street art, c’è Google, ci sono gli hotel di lusso e le gang, ci sono i rivenditori d’auto e la famosa palestra sulla spiaggia, qualche surfista, una vecchia amica, un trans che odia le definizioni. Prendetelo come un lungo racconto vero, del resto il magazine che lo ospita si chiama Epic e racconta extraordinary true stories.
E qui di storie straordinarie ce ne sono altre sei, una per ogni quartiere di Los Angeles: questo è un vecchio pezzo che ho rispolverato in questi giorni che sono qui, lo considero uno dei ritratti più preziosi di questa città senza centro né pedoni, eterna adolescente indisponente, bionda e potentissima. Il pezzo sul Dodger Stadium sembra la descrizione della mia domenica!
Siccome settembre è stato il mese di Wallace – ricorreva il decimo anniversario della sua scomparsa – mi sono capitati sott’occhio diversi articoli. Devo dire, tutti piuttosto simili. Se ne distinguevano due: 1) un ricettario delle porcate che Dave mangiava, corredato da aneddoti circa la sua opera e l’idea di flirtare con lui (e, a onor del vero, anche da riflessioni interessanti e colte);
2) un pezzo che chiede per favore alle persone con cui andiamo a letto – soprattutto se sono uomini che tengono Infinite Jest in bella vista in libreria e considerano il loro pene un Thesaurus (ma aggiungerei, anche, un tesoro) – di risparmiarci i loro consigli letterari. Davvero, non è che bisogna parlare di libri SEMPRE.
Chissà se Philip Roth dispensava consigli letterari a letto con Lisa Halliday quando si vociferava che avessero una relazione e lei aveva 25 anni e lui decisamente di più? Oggi la scrittrice pubblica il suo libro Asimmetrie in Italia e c’è parecchia curiosità.
Probabilmente, la New York letteraria che Philip Roth avrebbe consigliato a una sua amante non è quella di questa lista. O chissà, forse sì.
Restando in camera da letto ma tornando seri: le stanze possono dire molto di noi, anche quando sono vuote e noi non le abitiamo. Ne sanno qualcosa Walker Evans e Alec Soth, due fotografi che, messi a confronto, ci parlano di un certo tipo di America, tra passato, presente, miseria e lontananza.
Una camera in America, una stanza da questo lato dell’oceano o da questo lato del confine è un sogno per moltissime persone ma – lo sappiamo – avere un visto è un’impresa tutt’altro che facile. Vi invito a fare questo test: nella sua strabiliante vivacità grafica vi farà ridere amaramente e giocosamente.
Ecco, tutt’altro approccio invece è quello di chi deve decidere se una persona può o meno avere una casa in questa fatidica terra promessa. La presidenza di Trump sta inasprendo le misure di ingresso negli Stati Uniti, anche per i richiedenti asilo, in modi che possono mettere in difficoltà le persone che realmente devono applicarle. Quelle che stanno alle dogane, quelle che stanno al confine, quelle che indossano una divisa, ascoltano storie di morte e dolore e a volte non sono d’accordo con il principio stesso del proprio lavoro. Vi siete mai chiesti com’è la vita degli ufficiali di frontiera? Questa intervista è una prova di umanità.
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