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Immagine del redattoreLa McMusa

Roy Lichtenstein nel paese delle meraviglie: Torino

Per una Musa come me, che ha fatto del pop la sua firma e la sua rivoluzione, una mostra su Roy Lichtenstein, padre americano della pop art, non poteva che essere il modo giusto per iniziare l’anno nuovo. Nella mia città, Torino, da qualche mese Roy è l’ospite d’onore: sua, infatti, è la mostra allestita da fine settembre a fine gennaio alla Galleria d’Arte Moderna e suoi i tantissimi disegni che finalmente contaminano la formale capitale sabauda italiana con l’informalità della pop culture americana.

La mia gita alla GAM è stata una favola vera, una favola che renderò quassù esattamente per come si è svolta. Per prima cosa c’era la fata buona, ovvero la mia amica E., che lavora lì e che per l’occasione mi ha fatto da guida personale, raccontandomi tutte le innumerevoli cose che da sola l’arte non racconta (perché, ecco, diciamocelo, io posso anche stare sei ore davanti a un quadro e interrogarlo da tutti i lati possibili, ma il fatto che l’arte comunichi tutto da sola è una questione controversa, se non proprio una palla colossale). Seconda cosa, c’erano dei bei giochi di luci e bui: immaginate di entrare in una penombra dove tanti fasci di luce puntano esclusivamente sui disegni e sui quadri isolando gli oggetti pop dell’arte dal loro contesto di realtà. Al centro della sala grande, infine, come un mondo di finzione dentro un altro, c’era una seconda sala allestita come fosse un’esplosione lichtensteiniana vista dall’alto, con pareti oblique e una forma continua e centrifuga.


Famosa esplosione pop di Lichtenstein, a cui nel 1966 il magazine Newsweek dedica la copertina.

Famosa esplosione pop di Lichtenstein, a cui nel 1966 il magazine Newsweek dedica la copertina.


Mentre la mia amica mi faceva immergere nella favola pop di un artista enorme che sarebbe troppo ingiusto ricordare solo per la sua ricerca sui fumetti, io non prendevo appunti. Vietato usare il cellulare e fare foto, il personale del museo mi aveva intimidito così tanto che non usavo il telefono neanche per controllare l’ora. Una volta finito il mio giro, però, una volta salutata la fata buona che doveva accogliere un gruppo vero di visitatori veri, invece della scarpetta sulle scale del ballo ho lasciato indietro la buona educazione e il contegno: le ore successive, infatti, le ho trascorse nascosta dietro le pareti riascoltando la visita guidata – quella professional – di Ersilia, prendendo un sacco di appunti sulle Notes dell’iPhone e scappando dalla strega cattiva che per ben quattro volte mi ha detto che non potevo fare foto e usare il cellulare.

“Non sto facendo foto, signora, ho solo segnalato su Facebook che sono a questa mostra.”

“Non sto facendo foto, signora, sono una giornalista, sto prendendo appunti!”

“No, davvero signora, di foto non ne ho fatta neanche una, è che devo scrivere un pezzo sulla mostra.”

“Vuole guardare il rullino delle foto? Sto solo prendendo appunti. Non mi crede? No, veramente signora, non mi crede?”

Siccome questi appunti mi sono costati tanto e siccome questa è la più alta forma di giornalismo che posso raggiungere in vacanza, ecco a voi il mio racconto per note: non sono una favola, non sono articolo, ma sono il miglior ritratto pop di una gita pop.


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Look Mickey. Alla GAM ci sono alcuni disegni preparatori e una bellissima foto in bianco e nero di Lichtenstein davanti all’enorme quadro.


>> Roy passa attraverso lo studio dell’espressionismo, anni Sessanta primi fumetti: Mickey Mouse e Bugs Bunny. Prima opera che lo consacra re del pop: Look Mickey (cercare foto). Nel ’64 famoso gallerista Leo Cavalli lo prende nella sua galleria di New York scartando Warhol (anche lui aveva iniziato con i fumetti ma non potendo competere con Roy si dedica ad altro). Usa colori primari (rosso, blu, giallo, bianco e nero) per avvicinarsi all’idea delle riproduzioni a macchina, delle stampe artificiali e pop.


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>> Isola le donne dei fumetti, le decontestualizza e toglie la presenza maschile, la riduce al minimo. Sono donne stereotipate (bionde, belle, bambole, affascinanti) ma sempre mancanti, sempre appese al filo degli uomini, piene di dramma anche se mai emozionanti. Non ci si immedesima. Vicki, I thought I hear your voice: studio dal fumetto, toglie un viso dalle strisce e lavora solo su quello. Sempre fumetti femminili o di guerra. Lui ha combattuto la seconda gm, ma la guerra continua per l’America (Cuba, Vietnam), eroi di guerra da celebrare.


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>> L’immagine del fumetto è tolta dal racconto, cura grafica delle parole associata al loro effetto sonoro, si crea un frammento narrativo che viene ingrandito e ridisegnato. Comics = diretta espressione della cultura popolare americana dei Sessanta. Studi dei primi Sessanta: gelato, fetta con marmellata, tazza di caffè. Come se fossero stampe, non disegni. Primi puntini. Tecnica del fumetto per arrivare a ritrarre il prodotto del consumismo, il prodotto in sé.

>> Uso del colore a retino tipografico, il colore non dà volume né riempie ma è un’altra componente per creare l’immagine.

Forms in Space, 1985: collage pop della bandiera americana su imitazione di quella di Jasper Johns.



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 >> Lichtenstein non lavora solo su fumetto ma è un artista ricercatore: studi del paesaggio + studi delle avanguardie (Picasso, Mirò, Dalì, surrealismo, Matisse, Magritte) (a cui unisce quadri suoi) anni Settanta (diventano oggetti commercializzati, stampati) + studi classici (Monet) + studio dello specchio + studi del suo studio con tutte le opere sue e i suoi soggetti.


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 >> Roy non passava dal disegno direttamente al dipinto: c’era una fase intermedia in cui proiettava il disegno sulla tela con un proiettore (mezzo meccanico) e da lì tracopiava. Spesso il dipinto non veniva perfetto come il disegno e allora subiva ulteriori interventi: mix di meccanico, studio e immediatezza. Nei disegni indicava a matita il colore di riempimento oppure dei puntini, oppure inseriva diagonali dove poi ci sarebbero stati i puntini. Per dipingerli usava mascherine. Ex negli studi del paesaggio, dove c’è la mascherina anche per i raggi.

Landscape with boat, 1996: paesaggio cinese, definito dalla presenza della barca. Capisci che è una paesaggio solo perché c’è la barca. Cambiano le dimensioni dei puntini, creano effetto ottico. Realizzata tutta a mano anche se sembra a macchina.


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Cow going abstract, 1974: studia il passaggio dal reale all’astratto attraverso la scomposizione e ricomposizione di una mucca. Pop.


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Stetcher frame with cross bars III, 1968: l’arte è tale anche dal retro di una tela.


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 >> Opera commissionata da Renzo Piano per San Giovanni Rotondo (santuario) nel 1997 ma lui muore prima. Disegno: è l’ultima cena senza apostoli o solo sagome degli apostoli ed esplosione dietro. La versione che lui presenta come progetto è con apostoli e Gesù a sagome (non riesco a trovare foto ma è bellissimo).

Vibrazione cellulare, vibrrrrr, vibrrrrr, mi telefonano, è A., devo uscire dal museo prima che la strega mi veda. Che faccio, scatto o non scatto la foto della disobbedienza?

Fuck it, let’s do it.


Il Roy Lichtenstein di proprietà della GAM, quello che ti saluta prima di uscire.

Il Roy Lichtenstein di proprietà della GAM, quello che ti saluta prima di uscire.


 Ciao Roy, lunga vita alla pop art 🙂

PS: vi invito con tutto il cuore a visitare questa mostra (chiude il 25 gennaio) e a chiedere esplicitamente la visita guidata di E. La conosco da 18 anni, ma solo adesso sono riuscita a vederla all’opera e, vi giuro, la sua bravura, la sua passione e professionalità mi hanno riempito di orgoglio ed emozione.

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