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Se questa è l'America, allora cos'è l'America?

Da quando mi occupo di divulgazione di cultura nordamericana mi è capitato sempre più spesso di dire ai miei corsisti o ai Book Riders che viaggiano con me oltreoceano una frase che suona più o meno così: diffidate sempre di chi, parlando di Stati Uniti, ha più risposte che domande. Di chi offre spiegazioni plateali, di chi pronuncia giudizi marcati, di chi fa della propria opinione un assunto. Gli Stati Uniti - come scriveva il padre della poesia americana, Walt Whitman, riferendosi a se stesso ma anche all'identità del paese di cui stava per la prima volta delineando un ritratto - contengono moltitudini ed enormi contraddizioni: non tenerne conto significa semplicemente perpetrare una bugia.


Ecco perché, quando Francesco Costa - vicedirettore del Post e autore del progetto giornalistico Da Costa a Costa - ha pubblicato un libro dal titolo Questa è l'America, la mia prima reazione è stata di allarme: dovrò cominciare a diffidare anche di lui? Non avrei proprio voluto: ascolto e leggo Francesco da diversi anni, da quando aveva raccontato le convention dei due partiti repubblicano e democratico nel 2016 portandoci dal vivo con lui (attraverso newsletter e podcast ma anche un primordiale Periscope, precursore della "presa diretta" di Instagram) dietro le quinte di una macchina - quella della politica americana - veramente difficile da capire ma in cui lui dimostrava di sapersi destreggiare in maniera davvero rassicurante. Dal 2016 a oggi i suoi mezzi si sono perfezionati, il suo progetto si è profondamente consolidato e le sue spiegazioni della politica americana hanno cominciato a includere diverse di quelle "moltitudini e contraddizioni" care a me e a Whitman: dallo show biz allo sport, dalla narrazione dell'America rurale a quella degli equilibri internazionali, conoscere gli Stati Uniti leggendo le newsletter di Costa o ascoltando i suoi podcast è diventata un'esperienza sempre più completa. Restando, pur sempre, piuttosto rassicurante e chiara. In virtù di questo percorso e di questo suo peculiare talento divulgativo (oltre che di una conoscenza personale che ha come fondamento la nostra comune passione: il Texas) ho dato a quell'allarme la considerazione di qualche minuto e poi mi è bastato semplicemente leggere l'aletta del libro per farlo definitivamente tacere.


Ci sono pochi posti nel mondo dove il divario tra quello che crediamo di sapere e quello che sappiamo è tanto ampio quanto nel caso degli Stati Uniti. L'influenza statunitense nei nostri consumi è così longeva che pensiamo di conoscere bene l'America quando in realtà, nella gran parte dei casi, la nostra idea è un impasto di luoghi comuni e poche informazioni concrete.


Dalla politica estera a quelle sull'immigrazione, dal sistema sanitario al possesso delle armi, dall'economia allo stile di vita di provincia, tutti noi pensiamo di sapere cos'è l'America. Solo che in realtà non lo sappiamo e la maggior parte dei nostri assunti - soprattutto quelli proclamati a gran voce - è sbagliata.


Qual è dunque l'America raccontata e spiegata da Francesco Costa? Quella che ci obbliga all'osservazione e poi all'analisi; quella che inizialmente è un "non lo so" e spesso è un passo a ritroso verso la radice delle cose; quella che dimostra - di nuovo - la capacità di non dare risposte semplici a problemi complessi. I capitoli di questo libro sono otto e ognuno tratta un argomento diverso: dalla piaga degli oppiacei degli ultimi anni al caso dell'acqua avvelenata di Flint nel Michigan, passando per la storica antipatia degli Americani verso il governo federale, il cambiamento demografico, la radicalizzazione dei due maggiori partiti politici e del clima politico in generale, le stragi e il costo delle case. Se ogni capitolo ha un'impostazione che gode di una certa indipendenza, è solo nell'intercomunicazione tra le parti che si dispiega il carattere più problematico e veritiero degli Stati Uniti oggi: non solo i capitoli del libro sono tasselli diversi di un unico quadro, ma la stessa struttura che Francesco Costa utilizza (e giustamente reitera di storia in storia) per "arrivare al punto" implica il disinnesco di qualsiasi stereotipo a favore di uno sguardo nuovo. Uno sguardo che tenga dentro il suo raggio relazioni, distanze spaziali, dettagli storici, declinazioni della cultura popolare, dinamiche sociali e intrichi politici o legislativi (il più complesso di tutti: il sistema elettorale) che in Europa non hanno pari. Non perché abbiano proporzioni o misure diverse ma perché proprio non esistono e, di conseguenza, noi non sappiamo cosa sono.


Un esempio su tutti, tanto caro a me quanto decisivo per conoscere gli Stati Uniti oggi: il Texas. Prendetevi un momento e pensate a cosa sapete (o pensate di sapere) sul Texas. Le armi, i Repubblicani, il petrolio, i cowboy, le mucche, gli stivali. Qualcuno arriva a ricordarsi l'Alamo ma solo perché è impallinato di storia. A quest'ultimo inizierei a raccontare che il Texas è stato un avamposto del partito democratico per ben 120 anni, poi leggerei pagina 59 del libro, dove Costa elenca le percentuali di persone che oggi scelgono di trasferirsi lì per ragioni di studio, arte, qualità della vita e lavoro. Lavoro che ha meno a che fare con il petrolio e molto, molto di più con le energie rinnovabili, la tecnologia e la musica. Tenderei un tranello chiedendo se presso i cowboy della Hill Country ha fatto più scalpore il democratico Beto O'Rourke o il leggendario John Wayne e passerei poi a riassumere il lungo pezzo in cui si discute il concetto di confine, un concetto che unisce elementi apparentemente opposti come la crescente e massiva immigrazione sudamericana, l'orgoglio, la propaganda del muro, il messaggio della terra promessa e la difficile convivenza di norme federali e legge del più forte. Ho fatto questo esperimento innumerevoli volte e potrei andare avanti all'infinito sapendo che il punto di approdo resta sempre lo stesso: il Texas è il termometro di quanto siamo disposti a ricrederci e a mettere in discussione i nostri pregiudizi. Incredibile, a questo proposito, come nessuno sappia che il motto dello stato del Texas è Friendship. Non i violenti Come and Get It o Don't Mess with Texas o Fuck Your Mom.


Ecco, allora, che man mano che si legge questo libro l'America dei film o delle pubblicità o degli Oscar o dell'imperialismo capitalista o del "se non paghi l'assicurazione sanitaria ti lasciano morire per strada" o di Born in the USA (lampante e noto caso di fraintendimento, tra l'altro) si fa decisamente più fumosa e, viaggiando tra le pagine dal Texas a San Francisco così come dal deserto del Nevada ai quartieri più poveri del Michigan, al suo posto troviamo un paese che sta ancora cercando di conoscere se stesso. Un esperimento di democrazia che vive un momento difficile. Un sogno americano tradito eppure irriducibile. Un posto in cui forse non vorremmo mai vivere, ma in cui sicuramente varrebbe la pena passare del tempo per formarsi un'opinione a riguardo.


Questa è l'America che mi piace studiare. Questa è l'America che racconta Francesco Costa. Questa, come avrete già capito, è l'America.


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Lunedì 17 febbraio avrò il piacere di inaugurare il tour di presentazione di Questa è l'America al Circolo dei Lettori di Torino e di discutere di questi e tanti altri temi americani direttamente con l'autore (e voi!). Info qui.

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