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Immagine del redattoreLa McMusa

The Affair | L’amore non ha solo due occhi

Uno dei principi su cui si basa il racconto di una storia – qualsiasi storia, da quelle letterarie a quelle al bar a quelle negli schermi – è che qualsiasi suo aspetto è condizionato dal punto di vista di chi, appunto, la racconta. O, in altre parole, non esiste storia se non quella che nasce da un io narratore e selezionatore di elementi; non esiste storia che sia uguale per due persone o che – volendo osare come farebbe un filosofo illuminato ma forse anche il vostro barista di fiducia – contenga una verità che valga per più di una persona.

Condensate in una bollicina sopra la vostra testa questo concetto basilare della narratologia e adesso fissate bene la piccola sfera e soffiatela via in direzione del vostro partner. Se non l’avete, pizzicate la bollicina tra il pollice e l’indice e guardateci dentro: com’è iniziata e dove l’ultima storia che avete avuto? Ve lo ricordate? Sareste disposti ad andare a chiedere a lui o a lei di raccontare per filo e per segno quella giornata e, soprattutto, di stare ad ascoltare la risposta?

Chiedetegli cosa indossavate, come portavate i capelli, se vi siete baciati prima o dopo la passeggiata, cosa avete detto quando avete aperto la porta di casa e siete dovuti correre in bagno. Chiedetegli chi per ultimo quel giorno ha detto “ci vediamo presto”, chiedetegli se pioveva, chiedetegli se stavate piangendo o se invece era un sorriso.

Quante storie diverse ci sono in un’unica storia d’amore?


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Se siete stati attenti in questi ultimi giorni è comparsa sul web la notizia dell’arrivo della seconda stagione di The Affair, la serie tv di Showtime che si è aggiudicata qualche mese fa il premio più prestigioso degli ultimi Golden Globe: best tv drama. La seconda stagione arriva in America il prossimo autunno mentre in Italia ancora poco si sa su dove quando come andrà in onda la prima. Che c’importa, dopo tutto questa è una di quelle storie che va ascoltata originale.


Noah e Alison sono due amanti: si sono conosciuti in una località di villeggiatura estiva di Long Island, Montauk, e sono stati travolti da una grande passione. Una passione fisica, mentale, animale che traina fantasmi del passato, consuma paranoie letterarie, invade un paesaggio meraviglioso fatto di confini tra terra e acqua, di barriere tra presenze e assenze. Invade un paesaggio romantico fatto di rocce, fari a picco sul mare, spiagge e spume oceaniche, e lo trasforma in un regno di doppie visioni che non si contendono altro se non la verità.

Ogni puntata è divisa chirurgicamente in due: la prospettiva di Noah, poi quella di Alison (succede di rado che sia il contrario). Gli eventi vissuti sono gli stessi; le prospettive sono diverse. A volte è lo stesso luogo, a volte è lo spazio occupato dal proprio io mentre l’altro non c’è. C’è un deus ex machina o, meglio, c’è un interrogatore che chiede che quelle due prospettive, alla fine, diventino una sola: è un detective, sta indagando su quell’altro ingrediente del racconto che, seppur banale, combinato con lo sdoppiamento dei punti di vista rende questa serie tv uno dei migliori esperimenti narrativi in cui io mi sia mai imbattuta. Il morto.

Mentre lassù c’è un mastro burattinaio che desidera tirare un unico filo di questa storia, non c’è dettaglio né parola né sguardo di ogni episodio che non tenda, invece, al doppio. Lui entra nel diner dove lei lavora e la vede splendida, sexy, con i capelli sciolti e la minigonna; lei serve lui al tavolo e si sente abbattuta, ha appena pianto, i capelli raccolti perché non prendano l’odore di fritto, una malinconia lontana e misteriosa nello sguardo che rivolge ai bambini di lui. Lei è nuda sotto la doccia all’aperto della casa sulla spiaggia e lo invita con lo sguardo a condividere quello spazio d’acqua; lui non sa cosa sia l’acqua per lei, è stato premuroso a portarla a casa ma adesso è meglio che lei resti sola e che lui sparisca nella foschia dell’oceano d’estate. Lui l’ha posseduta; lui le ha negato un bacio e lei se l’è dovuto prendere.

E così via per una decina di episodi. Episodi che di bello, doppio e perturbante hanno il sesso (tantissimo), il paesaggio (dominante ma ambiguo), i colori (caldi per uno, freddi per l’altra), lo scorrere del tempo (il prima e il dopo non coincidono mai), i baci (consolatori o inevitabili o sinceri?), l’altra metà della vita (la famiglia e il romanzo di Noah, il marito e l’autolesionismo di Alison), gli elementi della natura (l’acqua per entrambi), gli elementi di civiltà (il ranch per lei, New York per lui), l’amore.


Tanti sono gli elementi formali (a partire dal cast) che rendono questa storia un prodotto di altissima qualità ma forse sono quelli che ci interessano meno. Leggeteli qui, se volete, ma poi tornate alla vostra bollicina, riprendetela tra le dita e pizzicatela finché non svanisce in goccioline di consapevolezza: cosa vede il vostro amante quando vi guarda? Come disegnerebbe lui o lei la posizione delle vostre mani quando scrivete? Voi sapreste scrivermi con le sue parole il segreto più folle che vi ha mai raccontato? Cosa sapete della sua nudità se quello che vedete, se quello che sentite non è la stessa materia che vede e sente l’altro?

C’è un’intera letteratura che racconta la doppiezza e innumerevoli romanzi che la praticano stilisticamente. Rispondono tutti a queste domande, ma non ci fanno vedere le risposte, ce le raccontano e basta. Questo racconto visivo, così limpido e turbato come l’acqua in cui si immerge, così diretto e sottile come la verità che non riesce mai a raggiungere, è – per noi, oggi – mille volte più potente. Già solo perché inizia con la voce di Fiona Apple, l’oceano e dei brividi nuovi, insieme dolci e fastidiosi.

Buona visione.


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